Lost in: Violeta Savu – Poesie

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Violeta Savu

Una noce

Ho condiviso una noce con Nora.
Aveva il sapore di una torta
al cioccolato inumidita con spezie
come alla Vigilia di Natale.

C’era anche l’odore della mamma
nella sferica drupa. Dopo
aver sbucciato il nocciolo ho
guardato nella corteccia legnosa.
Forse si scorgeva un’icona.

– Da dove hai preso questa noce?
– L’ho trovata
oggi
alla mamma
vicino alla croce.

Non c’è un albero
di noce
in tutto
il cimitero.

*

 

Adamo ed Eva - Tamara de Lempicka
Adamo ed Eva (part.), Tamara de Lempicka*

 

 

Sono come Sonia!

Lui stava salendo la scala
io stavo seguendo la sua ombra.
Non mi ama perché non soffondo
bellezza. Sono insulsa e nerastra.

Mi saluta dopo aver fatto l’amore.
Sto tirando i miei vestiti con pigri movimenti.
Niente su di noi, qualcosa degli altri.

Si ritira, parla con l’altra
al telefono. Non mi muovo. Prolungo il momento
tra l’ispirazione e l’espirazione. Dietro di me
lui risponde: „tantissimo”. Intuisco
la domanda della donna: „mi ami?”
„tantissimo”

„mi ami?!”

(Dal volume Da lontano lui mi vide bella)

*

 

Caro suicidio, non ti amo!

Caro suicidio, non tormenti i miei sogni. Ma, posso dire di avere una buona rimembranza di te. Ricordo come ho cercato di incontrarti nel mio primo anno di college. Sono stata bocciata all’ esame nella mia prima sessione, ho litigato con i miei e tornavo da un rendez-vous. Avevo scoperto che il ragazzo di cui ero innamorata amava follemente un’altra… E sappi, caro suicidio, ho provato, ma non sono riuscita ad essere tua amica!

Caro suicidio, non ti amo! E ti ho sconfitto
con una lunga gonna rossa
presa in prestito da una amica. Come potevo gettarmi
nel vuoto se non
indossavo i miei vestiti? La gonna era
fatta di materiale di alta qualità.
Senza alcuna piega, le sue pliche sembravano
onde di un mare in cui
è scesa la lava di un vulcano. Ricordo come ti ho detto.
Caro suicidio,
ti sto rinviando! Ho un incontro estremamente importante.
Devo restituire la gonna rossa
in cui ero vestita quando mi hanno preso
alcuni pensieri simili
con quelli di Esenin Hemingway Maiakovski Heym.
Anch’io avevo un „buco
nel soffitto”, ma come potrei averlo pensato fino in fondo,
come questi uomini,
se stavo indossando una gonna lunga lunga per terra?!
E, da sotto cupola della campana
di vetro uscirono le code di stoffa bruciata, la frangia di Sylvia.
Eppure, caro
suicidio, te lo giuro, ho una buona rimembranza di te.
Ho preso in prestito la gonna
rossa per essere elegante. Per essere bella. Pensando
all’amore. Lui non mi amava.
Mi sentivo brutta e sola. Ho camminato stonata
per le strade e sono entrata accidentalmente
nella scala di un grattacielo. Ho chiamato l’ascensore, una bara
scorrevole, rialzata in piedi. Ho
premuto il tasto 11. Raggiunsi un tetto dove
potevo guardare il panorama
della città. E, caro suicidio, sai cosa ho fatto?
Alzai l’orlo della gonna al cielo,
mi immaginavo che sono croco autunnale girando,
girando. Suicidio,
la tua bellezza inebriante come fiore brina. Fiore
dei morti. Ho visto
davanti agli occhi persone radunate accanto al mio corpo
inanimato. L’errata
identificazione. La mia amica. I genitori. I suoi fratelli e sorelle,
il fidanzato, tutti spaven
tati. All’improvviso ho capito, la sofferenza dei suoi cari
non potrei coprirlo con
la morbidezza delle macchie di sangue stampate sulla gonna
data in prestito. Caro suicidio,
non ti adoro, non ti ammiro, non ti amo! La tua forza
può essere indebolita da
una farfalla di stoffa rossa. Così vaporosa e lunga,
la gonna rossa
ha congiunto il cielo alla terra! Caro suicidio, io no,
non ti amo!

(Dal volume Frange)

*

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Violeta Savu

Il lamento di Eva

Promettimi
che guarirai la mia cicatrice
che ogni donna nasconde
non per pudore
ma per l’abisso della solitudine

 

*

 

 

Notturno

inginocchiavo nel corpo dell’uomo
come in un tempio pagano
e lui premeva il mio cuore
in una reminiscenza aliena

non ricordo altro che
le belle bugie,
un velluto che avvolgeva
il bacio triviale, il tremore
della tenda prima della scena

un’immagine allungata di un dio
spavaldo lui mi condanna la delicatezza

 

*

 

 

Separazione

con rammarico di ninfa scelta
sarò il tuo ultimo miraggio
una viola traballante
sulle acque di terraferma

 

***

 

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Notizie biobibliografiche

Violeta Savu (21 febbraio 1973, Bacău), laureata in matematica; è poeta e performer. Membro dell’Unione degli Scrittori dalla Romania; editore della rivista “Ateneu”. Ha pubblicato quattro volumi di poesie: “Rifugi in lirica” (Pallas, 2004), „Atocmiri” (Studion, 2006), “Da lontano lui mi vide bella” (Tracus Arte, 2011) e „Frange” (Tracus Arte, 2016). Nel 2016, al Festival Internazionale di Dramma “Valentin Silvestru”, nella sezione Drammaturgia, vince il Terzo Premio, con lo spettacolo “Clara e Robert. Carta sullo spartito “.  Ha pubblicato poesie e articoli letterari in numerose riviste del paese (“Vitraliu”, “Vatra”, “Famiglia”, “Ex Ponto”, “Poem caffe”, “Poesis international”). Per la rivista Poem caffe ha collaborato anche con delle rassegne cinematografiche. In Poesis International è stato pubblicato un aggruppamento delle sue poesie in inglese, tradotto da Elena Ciobanu. Ha in preparazione un volume drammaturgico che conterrà quattro pezzi di teatro con il titolo “Five Tattoos”.

 *

La traduzione delle poesie qui proposte è opera di Daniela Mărculeţ.

*Fonte immagine T. de Lempicka: web

Photo credits: Mia Nazarie, via Daniela Mărculeţ. 

 

Articolo a cura di Alba Gnazi

Lost in: Violeta Savu – Poesie

Nicola Manicardi, poesie inedite

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Nicola Manicardi

 

 

Preferisco non parlarti
con senso di vertigine
scrivendo
ma, guardandoti dal suolo quotidiano
nelle vicine distanze che ci annullano
da un fare che fa solo rima,
perché lontani dalla parola
che non ci siamo detti.

***

Tu
che mi chiedi il saluto
con una stretta di mano
mi fuggi
dalla prossemica di un abbraccio
senza capire che il cuore
non si tocca neppure
quando si muore.

***

Cosa ci faccio qui al parcheggio
con il piede fuori dalla macchina
e interrogativi fra le rughe?
Non ho un solo lunedì
ma tanti
ravvicinati giorni torpidi
mi dicono di andare
andare, andare dove
se poi non mi conosco
e manco di saluto?

***

Non c’è quarzo che brilli
nell’ora
il tempo è morto nell’attesa
che qualcosa ci illumini.

***

Togliendo, rimetto
omettendo – commetto
L’atto di stare, non è sempre
come ingiusta, è la parola.

***
Ti dissi che vedevo dal vetro
la fragilità del giorno.
Non era l’asfalto sotto casa
la grondaia rotta, neppure
l’insegna difronte senza la vocale.
È vero, non sono passati a tagliare l’erba
e, oramai anche le strisce pedonali
sono sbiadite
lo vedi tutto questo trasparire dal nostro viso?

***

Un giorno faremo a meno di me

Tu sarai nel sud est Asiatico
parlerai cinque lingue
nella metropoli che diventerà il tuo palmo.
Mi racconterai: del cibo,
del significato della parola “multietnico”
della compostezza.
Avrai imparato a mangiare con le bacchette?
Per la fioritura di primavera non ci sarò.
Sarò sotto allo stelo che guardi
l’impasto di terra dove camminerai
il timbro di voce che avrà parola
nel tuo silenzio, domani.

***

 

“Per me scrivere è vivere, perché non so mai dove mi porterà. É un viaggio lunghissimo, interminabile, dove non si arriva mai. Questo forse per me è proprio il fascino di questo momento di raccoglimento. Uso questo termine, “provare a fare poesia” è un modo di vivere, insomma è un modo per comunicare ciò che sto attraversando nel giorno, durante il giorno, mettendo appunto all’interno della mia poetica, il mio “io, che siamo noi, oggetti, luoghi, tutto descritto molto spesso all’interno di una stanza, che fondamentalmente è la mia stanza, dove spesso mi capita appunto di guardare il mondo, diciamo sempre più all’interno delle cose e protetti dentro quattro mura, per cercare di rimanere riparati da quello che è l’esterno. L’esterno che mi capita di vedere, ma preferisco come un ignoto osservare tutto ciò che vedo e vivo”

(Nicola Manicardi, risposta a un’intervista alla testata online XXI Secolo)

 

Fonte immagine: web.

 

Articolo a cura di Alba Gnazi

Nicola Manicardi, poesie inedite

Pietro Romano, poesie inedite

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Pietro Romano*

 

il tenue del tocco, qui, pronto
a farsi incandescenza:

un focolare nella crepa,
nella pagina in bianco.

 

*

gli occhi chiusi si riaprano pieni
della parola minima radente
il fondo della voce escoriata.

 

*

Come tradurre l’azzurro arreso del cielo,
quando, con l’odore di terra riarsa, le parole
separano le nubi dalle nubi, gli uccelli
dagli uccelli, le foglie dalle foglie?

 

*

Teca del dire, falce la parola:
in alleanza al verso, disossato
sulla lingua l’istante della crepa

 

*

Qui è un dimenticare – nel fioco
del palmo, esule è la crepa dove
a ora incerta si è, nell’abisso.

 

*

Quella prossimità di tenui luci,
di superfici impassibili e solchi di strada,
io non riesco a invocarla in una scia di versi
in cui sfavilli l’istante prima.

 

*

Sentire il peso dei corpi: d’essere polvere, gelido silenzio. Giorni di scomparsa – nudi sulla mancanza. Cifre, lettere o distanze. Parole, altre. Gioia e abbandono, nel profondo di una luce che ogni cosa cancella. Delle cose lo sguardo si richiude, ma dove? Poco di loro rimane. Il dramma dell’altezza: sconoscere la palpebra. C’è un che di inutile nel tardare la parola: la terra è la terra e la traccia precede sé stessa.

 

*

Testimone del trauma di nascere su tutto il visibile, lontani dall’increato. E l’informe: crollo tra le ciglia. Per non farsi abbagliare, l’invisibile si sotterra. Varchi verso voci perdute. Invisibile, lasciaci entrare.

*

 

Cenni biobibliografici

Pietro Romano (Palermo, 1994) è laureato in Lettere. È autore di due raccolte di poesia, dal titolo Il sentimento dell’esserci (Rupe Mutevole, 2015) e Fra mani rifiutate (I Quaderni del Bardo, 2018). I suoi versi sono apparsi in riviste nazionali e internazionali e tradotti in greco e spagnolo. Attualmente, frequenta il corso di Laurea Magistrale in Italianistica presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna.

 

*La foto in alto è di proprietà dell’Autore

 

Articolo a cura di Alba Gnazi

Pietro Romano, poesie inedite

Dialetti #6: Francesco Sassetto

 

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Presentiamo una poesia tratta dal volumetto Xe sta trovarse, Samuele Editore, 2017 e una breve nota di lettura a cura di Patrizia Sardisco

 

MAGIO

E tante robe de l’amor go da imparàr e
de ti che ti me compàgni e te piase
la me vose, i me oci, anca el me dente
sbecà, e queo che no so ti me lo disi ti
come ti fa co i putei de scuola a ménar
le létere a posto par far le parole.

E mi te tengo come la ciàve de casa in fondo
la scarsèla, come un lampiòn co fa scuro, ‘na
tovàgia a quadréti da vecia ostarìa, un vin
ciàro e s-cièto, ‘na canson che te rùsa
in récia, come ‘na roba che no scampa via,
na magiéta colór de quel glisine che là
in fondo de la cale, ti lo vedi

xe pena fiorìo.

 

MAGGIO
E tanto dell’amore devo imparare e/di te che mi accompagni e ti piacciono/la mia voce, i miei occhi, persino il mio dente/spezzato, e ciò che ignoro me lo insegni tu/come fai con i bambini a scuola a comporre/bene le lettere per costruire le parole//E io ti tengo come le chiavi di casa in fondo/alla tasca, come un lampione quando viene la notte, una/tovaglia a quadretti da vecchia osteria, un vino/limpido e schietto, una canzone che ronza/all’orecchio, come qualcosa che non fugge via/una maglietta color del glicine che là/in fondo alla calle, lo vedi,//è appena fiorito.

 

Nota all’autore

In un recente intervento radiofonico, presentando il dramma in dialetto friulano I Turcs tal Friùl, scritto da Pier Paolo Pasolini nel 1944 ed edito in questi giorni da Quodlibet nella nuova collana Ardilut curata da Giorgio Agamben, con una traduzione in versi in italiano del bravo Ivan Crico, il critico e semiologo Luigi Tassoni ricorda, tra le altre cose, come il grande autore delle Poesie a Casarsa “riconosce nel dialetto la possibilità di ritrovare una identità più vicina a un senso originario dell’uomo, e cioè non corrotto dalla Storia o dal cosiddetto progresso consumistico”. Ritornare su queste posizioni di Pasolini è stato per me lume e bussola nel precisare meglio le diverse, suggestive inquietudini che Xe sta trovarse, l’ultimo libro di Francesco Sassetto, edito dai tipi di Samuele Editore nella collana Scilla, mi aveva regalato e che continuavano a riproporsi con pulsante magnetismo alla mia attenzione di lettrice lenta e ruminante.
Da tempo ormai avverto come qualcosa di acclarato e pacifico, quasi universalmente riconosciuto dagli studiosi, che la reciproca contaminazione tra lingua italiana e dialetto abbia effetti rigeneranti per la stessa lingua italiana e consenta, d’altro canto, di aprire interessanti piste di sperimentazione e spazi di ricerca di verità, nuovo vigore e rigore nella scrittura in versi, cogliendo sonorità, suggestioni e soluzioni diversamente impensabili.

E davvero, nel bel libro di Sassetto, avverto ricerca, esplorazione del tessuto identitario, cura del senso originario delle cose e dell’Uomo e, aggiungo, avverto l’offerta di una mappa, una topografia della voce poetica dell’autore: sono convinta che la scelta del dialetto come lingua della poesia (sempre che di scelta sia possibile parlare, che non sia più corretto affermare che dal dialetto si venga scelti e parlati) sono convinta che tale scelta dica, e parecchio, del luogo natio di quella poesia, che essa sia, in effetti, il luogo in cui la poesia ha la propria sorgente. E immagino sia piuttosto chiaro che per luogo non intendo qui uno spazio geografico ma una posizione interna, un dispiegarsi e situarsi dell’Io che ne orienta l’ascolto e la voce, ripulendo entrambi dal rumore e precisandone l’opzione di poetica.
Nella poesia di Francesco Sassetto, un soave dialetto veneziano è, in questo senso, lo strumento artistico di precisione, la finissima lima cui si affida un’opera che a me appare di struggente e plurivoca sottrazione.
Ad un primo livello, attraverso l’uso di una lingua di verità («nella mia “vera” lingua, il veneziano » mi scrive in privato l’autore, consegnandomi i suoi versi e una prima lente per leggerne più da vicino il senso, “come le ciàve de casa in fondo/la scarsèla”) la poesia di Xe sta trovarse è un sottrarre all’occhio e all’orecchio estranei, a “i foresti che ride e ghe fa le foto” la delicata scoperta reciproca di due persone che finalmente hanno trovato l’un l’altra. La lingua, in questa prospettiva, assume la valenza di codice segreto ed esclusivo, luogo di reciproco riconoscimento, via verso casa: “e tornàr casa par le cale sconte (e tornare a casa per le calli nascoste)”, un preservare, un proteggere un mondo privato. Ma questo mondo, al di là delle intenzioni dichiarate (poesie d’amore in veneziano, recita rassicurante il sottotitolo), non si esaurisce nella relazione con la persona amata cui pure il libro è dedicato, ma include il vocio caotico e cacofonico della città, una Venezia amatissima e giustamente avvertita come sotto l’assillo e l’assedio del consumo, del proprio consumarsi erosa dal tempo, ma più e peggio dal consumo turistico sempre più aggressivo che ne fa una depredata e depredante Babele, pietra metaforica dello scandalo della Bellezza esposta allo scupio, alla dissipazione, alla svendita. Sotto questo aspetto, la poesia di Sassetto è un ben più largo atto d’amore, un amore che sottrae e porta in salvo tutto intero un microcosmo dal vortice, “salvessa dal gorgo che ingióte”, dal turbinio delle parole lise e delle troppe parole, delle parole rese cenere perché “brusàe in foghi che pareva scaldàr”. È amore che sottrae Bellezzza dall’abuso e dall’usura del tempo, uno “staccare, strappare”, come recita uno dei versi di Paolo Ruffilli posti in esergo, con le mani nude e potenti del dialetto, palme larghe e nessun orpello retorico, tenace come “ ‘na cansón che te rùsa/in récia, come ‘na roba che non scampa via”: la schietta verità nella vera lingua.

Patrizia Sardisco

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Francesco Sassetto, Xe sta trovarse, Samuele Editore, Collana Scilla, 2017

 

Dialetti #6: Francesco Sassetto

Il Promontorio (34) Prima che bruci Parigi

(Parigi, 2018, “Addio a Hikmet”)

 

Prima che bruci Parigi
di Nazim Hikmet

Parigi, 1958

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti nella bocca
e andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.

In alto, le case di pietra
senza incavi né gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio, sulla Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
– verso il Belgio o verso l’Olanda? –
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore.

Da Nazim Hokmet – Robert Doisneau. Poesie d’amore (traduzione di Joyce Lussu), Milano, Mondadori, 2006

 

*

(Articolo e foto a cura di G. Asmundo)

 

Il Promontorio (34) Prima che bruci Parigi

LOST IN: POESIE DI DIANA GEACĂR TRADOTTE DA DANIELA MĂRCULEŢ


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Sei tu? gli chiedo quando sento due mani
afferrando i miei fianchi mentre porto le borse col cibo.

Come mi hai trovato, Signore? Hai inseguito l’odore forte
di insicurezza? La primavera è il miglior camuffamento. Rimango

immobile, camminando verso casa, per lasciarti prendere
le mie misure per un nuovo costume di carne.

Carne minuscola e veloce come i tuoi pacchetti
di luce.  Blocchi di neve compattata si rompono

dal tetto e ripiombano a terra. Con tutto
questo chiasso non si accorgerebbe nessuno

del rumore intasato che farebbe un corpo
gettato. I tuoi palmi salgono piano

sulla mia schiena e slacciano il reggiseno. I seni ribalzano
sulla strada piena di fanghiglia, facendo sudare gli alberi

sotto la paziente pioggia. Perdonami, Signore, ma non voglio
complicazioni. Anche nel sogno ho iniziato a rifiutare gli uomini.

*

Superpoteri

Si può vivere senza sesso ma non senza contatto, dice
una donna con la pelle rugosa in un programma sulla

salute, mentre raccolgo il bucato nel balcone.
Da quando ho partorito mio marito si è raffreddato


parecchie volte. Io nemmeno una.
La prima cosa che faccio la mattina è di

mettere la fede al mio dito. Passando dalla pelle
perfetta del bambino a quela usurata del partner

è difficile, dice la donna. Mio marito sorride
al bambino poi va nella sua stanza. La pioggia cade

nelle finestre con la furia dei corpi disperati
per entrare. Ho visto i coccodrilli immobili

in acqua mentre venivano confortati
dall’uomo, mostri con pelle repellente,

privi di forza. Mio figlio, che tengo quasi tutto
il tempo tra le mie braccia, allunga una mano dal letto

e dice Aaa. Probabilmente qualche ombra attirò
la sua attenzione. Mi fermo alla soglia con il bucato al petto

quando capisco che mi sorride. La prima cosa
che faccio la mattina è diventare invisibile.


*

Ci crediamo soli, ma la casa è piena

Stiamo per terra sulla coperta su cui mio
padre dormiva e ascoltiamo dischi con racconti –

voci che conosco così bene che
le confondo. Anche il giradischi era suo.

Ripeto le parole, mio figlio ride.
I may never be happy,
but tonight I am content,

scriveva Sylvia Plath all’età di 18 anni nel diario. Ho scritto,
al test di filosofia, che la felicità non può essere

visuta che nella memoria. Sono in camera da letto,
in una poltrona. Sdraiato, mio pare mi dice

che non trova più alcuna gioia. Ha fatto
il trapianto midollare. Nemmeno le piccole gioie, chiedo

con la voce da terapeuta. Mi guarda come se avessi detto
 qualcosa di stupido. In realtà, ha iniziato a chiudere

i suoi conti. Ho scritto molto nel saggio, terrorizzata
a non contraddirmi alla fine, mi hanno diminuito

dieci centesimi. Forse ho dimenticato di mettere una virgola.
Forse avrei dovuto scrivere gratitudine invece di felicità.

*

L’altro lato della Luna

…at the instant I disappear beh
ind the moon, I am alone now, truly alone, and absolutely isolated from any known life. I am it. Michael Collins, astronauta su Apollo 11


Ci sono tre immagini che contengono un così grande segreto
che non avrei capito nemmeno se me lo spiegasse

Morgan Freeman. Ho sognato le prime due.
La terza non la credo nemmeno adesso.

Nella prima resto di notte su una collina e vedo
sul cielo la Terra così vicina e bella che mi ferisce

gli occhi. Nella seconda sono su un campo fangoso, mi guardo
intorno e vedo solo una debole luce verde, ma un pianto

prolungato mi fa alzare lo sguardo. Un animale enorme, forse
una balena, passa senza intoppi su di me attraverso l’acqua scura.

Nella terza scendo di giorno nella cappella di una chiesa e guardo
mio padre. Metto la mano sul suo petto. La morte lo rese resistente.

I becchini lo tirerano come fosse una trave
sbagliata, perché hanno dimenticato di mettergli il berretto.

Papino, dico, cercando di stabilire una connessione
con l’oggetto. Forse sono in un documentario

sulle immersioni. In realtà, ci sono quattro immagini.
Una donna, rimane immobile nell’acqua torbida e fissa

tra i rovi gli occhi di un coccodrillo.
Quando riemerge inizia a piangere e mi sveglia

il bimbo che mi vede ma mi sorride
solo dopo pochi secondi.

*


Diana-Geacăr-I

Diana Geacăr (1984) è scrittrice e traduttrice. Ha pubblicato i volumi di poesia  Ciao, io sono Diana e sono la tua compagna di stanza (Vinea Publishing, 2005, Premio nazionale di poesia Mihai Eminescu OPUS PRIMUM), La bellezza dell’uomo sposato (Vinea Publishing, 2009, Premio Marin Mincu),  Ma noi siamo gente comune  (Casa editrice Cartea Românească, 2017) e il volume di racconti Chi abita nel seminterrato (Casa editrice Parallela 45, 2018). Ha pubblicato poesie e racconti in riviste letterarie (Poesis International, Tempo, Literomania, Levure littéraire, Crevice, Subcapitol ecc) e nelle antologie (Esercizi di risolutezza.  L’antologia dei poeti vincitori del Premio Nazionale di Poesia Mihai Eminescu – OPUS PRIMUM 1999-2017, Casa editrice Max Blecher, 2017; Tu, prima di tutto. Un’antologia di poesia d’amore contemporanea, Casa editrice Parallela 45, 2017, coordinatore Cosmin Perta ecc). Nel 2009 ha partecipato alla terza edizione del workshop di traduzione di poesie Re:verse, organizzato a Szigliget, in Ungheria, da József Atilla Circle Letterary Association of Young Writers (JAK). Ha tradotto in inglese poesie per la rivista online Crevice e per l’antologia della poesia internazionale contemporanea Ritratti di confine / GrenzPortraits (Klak Verlag, Berlino, 2017, coordinatore Rodica Draghincescu), in cui è presente anche come autore, e, dall’inglese e  francese, libri di letteratura contemporanea.  Fa parte del team editoriale della rivista online di letteratura e multimedia Crevice. Vive a Târgovişte,  Romania.

*

Le poesie qui presentate sono tratte da ”Ma noi siamo gente comune” (titolo originale Dar noi suntem oameni obişnuiţi) edito da Cartea Românească, 2017.

Traduzione dall’originale romeno di Daniela Mărculeţ.

 

(Articolo a cura di Alba Gnazi)

 

LOST IN: POESIE DI DIANA GEACĂR TRADOTTE DA DANIELA MĂRCULEŢ

Appello per la libreria “L’Orto dei Libri” a Roma e per una battaglia culturale nonviolenta

Orto dei libri librerie migliori di Roma

 

via 198 // Appello per la libreria “L’Orto dei Libri” a Roma e per una battaglia culturale nonviolenta

 

Care amiche e amici di Roma e di tutta Italia,
vi rivolgo un sentito appello in sostegno della libreria L’Orto dei Libri, una meravigliosa perla rara curata da Giorgio Galli, libraio e scrittore.

In questi giorni in cui accade che i libri possano essere considerati spazzatura su manifesti apposti in pubblica via. In cui le aggressioni alla cultura sono ormai quotidiane e, quel che è più grave, legittimate dall’alto, dalle stesse voci che costruiscono insicurezza a tavolino. In cui alla conoscenza e al dialogo si stanno in larga parte sostituendo ignoranza indotta e sentimenti di odio. In cui assistiamo al logoramento della scuola così come dell’educazione al libero pensiero.

In questo clima che si annerisce sempre di più, in cui il populismo getta le basi per un “regime di fatalismo” e di credenza, offrendo a bella posta panem et circenses in cambio di tornaconto, clic sui social e, soprattutto, deleghe incondizionate, sul filo delle quali si gioca la partita capillare del potere effettivo.

Ebbene, da anni non si rendeva così necessario ribadire con estrema chiarezza il ruolo della cultura nella nostra società. E i libri ne restano un respiro imprescindibile.

Le parole di carta, in un’epoca che vede anche processi di svalutazione della parola e della scrittura, di decostruzione del linguaggio, di censure indirette, restano uno degli elementi più fragili e potenti da salvaguardare attivamente, riversare, trasmettere.

I libri mi sembra restino una delle basi migliori su cui appoggiare un presente lesionato e ricominciare a edificare il progresso. A partire dai fondamenti culturali della nostra società aperta.

La “battaglia” nonviolenta per la nostra cultura va combattuta con coraggio e determinazione. Opponendo all’assolutismo il dialogo. Ma senza compromessi su ciò che è giusto e sbagliato, in direzione ostinata e contraria rispetto a chi fomenti un clima di relativismo fatalista.

E se da qualche parte bisogna iniziare, se da qualche parte questa “battaglia” sul presente e il futuro va combattuta, allora è a fianco di chi resiste attivamente e strenuamente, a dispetto di ogni difficoltà, giorno dopo giorno, in un Paese in cui il valore dei libri e della conoscenza viene svalutato programmaticamente, come ad esempio insegnanti, librai, operatori culturali.

Per chi supera a fatica ogni ostacolo nel mantenere vivo un giardino per la cultura, come una libreria, concepito e soprattutto agito come uno spazio di apertura, come un luogo. Che direi preziosissimo, quanto mai necessario.

Per chi sorride tutti i giorni, adoperandosi con il sudore della fronte per il proprio progetto culturale attivo, vero, concreto, come una piccolissima ma meravigliosa libreria, una delle più belle e appassionate librerie che, personalmente, conosca.

Per questo rinnovo tutto il mio appoggio e L’Orto dei Libri, che vi invito a visitare e sostenere, a Roma, in quanto perla rara.

La selezione è curata con rara amorevolezza e pertinenza. Lo scaffale di poesia, tra gli altri, indimenticabile.

E se non siete a Roma neanche di passaggio, spero possiate seguirla sul web, condividerne il progetto, diffonderne il messaggio.

Per resistere a fianco di chi crede in un sogno culturale nonostante tutto. Per coltivare un angolo, comune, del giardino.

G. Asmundo

 

***

 

Dal sito della libreria:

«L’Orto dei Libri è una piccola libreria ma è anche un luogo di incontro e uno spazio eventi. Uno spazio piccolo, adatto all’intimità, alla calma, all’ascolto. È un posto dove non si deve avere fretta. Potete assistere a serate musicali e presentazioni di libri, prendere parte a incontri su argomenti di vostro interesse, seguire laboratori per voi, per i vostri piccoli e perfino sui vostri animali! A proposito di questi ultimi, il Miao&Bau Bar all’esterno è pensato apposta per far bere i vostri amici, quindi… servitevene e lasciate che loro si servano!

È, soprattutto, un posto in cui potete divertirvi e stare bene. Entrate e sentite profumi di carta, legno, incenso e giardino. Girate fra gli scaffali e fate un giro ideale del mondo in 19 metri quadri grazie a una scelta di libri internazionale. È un negozio di quartiere caldo e accogliente, una libreria con lo spirito delle drogherie di una volta. Potete vivere qualche minuto in un interno che sembra un esterno e che ricorda il concetto antico di Hortus come luogo di ricreazione del corpo e dello spirito».

L’Orto dei Libri

Via Diego Simonetti 70, Roma

+39 347 006 0096

email: ortolibri@gmail.com

Facebook: https://www.facebook.com/lortodeilibri

Instagram: https://www.instagram.com/ortolibri/

Sito web: https://www.lortodeilibri.it

 

Citazione

Riccardo Mazzamuto, Tre poesie da ”Diligenza del non padre di famiglia” con una nota di lettura di Alba Gnazi

diligenza
Copertina anteriore del libro; fonte immagine: http://www.lafeltrinelli.it

COLLOQUIO DI LAVORO
Si sondano tragitti
per trovare lavoro
quotidiani continui
annunci economici…
realizzabili senza
precisi propositi
di qualità… importante
percepire stipendio.
Esigenza vitale
poiché hai l’auto
a rate, bicicletta
e scooter smartfone
vacanze abbigliamento.
Cominci a studiare…
Arriva il primo a cento
km dal domicilio
in ordine alle date
dei concorsi o test
orale se ammesso.
Sul posto duemila
puzzolenti umani
di sudore da viaggio

da batteri da germi
attendono l’entrata.
Dei compagni di branco
banco né un conoscente
né sguardo o graffio
né sorriso, o aiuti…
Centoventiminuti
come tempo massimo
per essere archivista.
Assolti dai nostri
incerti culturali…
Domande di cultura
(Coltura) generale.
Domanda numero uno:
”Sei maschio o femmina”
Domanda numero due:
“Presidente di Stato
duemiladieci”
Domanda numero tre:
“Sei di destra o sinistra”
e così via… eccetera…
Domande di cultura
(Coltura) esplorativa.

Domanda numero uno:
“Dimmi della famiglia”
Domanda numero due:
“Perché questa carriera”
Domanda numero tre:
“Come è fatto un libro”
e così via eccetera…
Anche io finito il tempo
a casa tutti a casa
consegno il test scritto…
Ai concorsi… passati
non ho più pensato…
per tempo mi invita
una raccomandata
ad un colloquio
di lavoro in città.
Da segretaria in sede
alla data puntuale
vengo accolto
ad aspettare il Dottore…
Dopo poco distinto
con fascicolo e sguardo
arriva il Dottore
diritto negli occhi.

“Lei ha svolto il concorso
in modo perfetto,
è degno del lavoro
neanche un errore,
però un particolare
al concorso Lei scrive
«Celibe»;
anche adesso
o coniugato e figli?”
“ Dottore identica
situazione, convivo
con la madre… Dottore,
né separazioni…
convivenze né figli
matrimoni alle spalle”.
Poi disse: “Mi dispiace
diventa un problema
l’azienda chiede
la diligenza del buon
padre di famiglia.
Non ha affidabilità
per questo lavoro,
arrivederci… avrebbe
messo su famiglia…
Poi replica: “Sappia
ha un anno di tempo
primo da graduatoria
con quel requisito
il posto spetta a Lei… ”

“ Buonasera Dottore”.
“ Buonasera… Sera”.
Quel posto suscitava
interesse, azienda
guadagno e carriera
solida unica in zona…
Sconforto economico…
preso afflitto distrutto
apro il telefono
chiamo dal passato
quelle ragazze amate
con fede praticate.

«Ciao sono Pier Vittorio
come stai? tutto bene?
ti va caffè e cinema
una di queste sere?»…
«Convivo… mi dispiace
abito fuori città»…
«Ciao sono Pier Vittorio
come stai? tutto bene?
ti va caffè e cinema
una di queste sere?»…
«Ciao mi sono sposata
aspetto un figlio »…

«Ciao sono Pier Vittorio
come stai? tutto bene?
ti va caffè e cinema
una di queste sere?»…
«Ciao lavoro fuori
mi trovo benissimo
giro… giro… che sballo»…
«Ciao sono Pier Vittorio
come stai? tutto bene?
ti va caffè e cinema
una di queste sere?»…
«Ciao… quale onore…
tesoro mio stupendo
uomo maschio mio…
Quante volte ti avrei
voluto chiamare… ok…
Vediamoci stasera…
che gioia ok bacio»…
Veronica ragazza
scorta tappa serate
del mercoledì o sere
andate a buca da “Miss”…
o per sesso anale.
Usciti insieme… dopo
un attimo, finiamo
per realizzare amore
sesso non protetto
con emissione di sperma.
Una… due… tre… quattro…
cinque… sei… sette… otto…
volte… e nove volte…
Dai ritardi muliebri
Veronica mi avvisa
in pizzeria che sarei
diventato o forse
padre o forse babbo…
Ho un’abitazione,
due camere da letto
arredata, aggiornata
con mobili ikea.
Regolata l‘unione
quella diventerà
il nido di comodo.
Veronica è pronta
al parto, parto parto
accelerando l’auto…
Spinge lei… spinge lui…
il bambino guarda
la luce… spinge spinge…
Torniamo a casa in tre
spinge familiare
la vita… familiare

Conquisto il lavoro
promesso, assunto
con l’accordo ferreo
di diligenza del buon
padre di famiglia…
Posso stima gioire
fiducia dei superiori
collettività tutta.
Passano mesi anni
anni mesi anni mesi…
Il bambino prospera
il rapporto tra me
e Veronica cambia…
cresciuti e cambiati
senza discussione
né litigi né sesso
soluzione unica
la separazione…
“Buongiorno Pier Vittorio
benvenuto inferno
di separati matti”…
Nonostante fosse mia
l’abitazione sono
costretto ad andare
torno da mia madre,
fortuna, godo almeno
di spazio… fortuna.

Il legale conclude
somministrazione
pratiche di divorzio
alimenti per due…
Veronica non perde
tempo, conquistata
da nuovo compagno
separato con figli
rimane incinta…
Due più uno più uno…
famiglia allargata…
Tornarono insieme…
per legge e diritto
contro lo sdegno mio.
Non riesco ad accettarmi…
perdo tranquillità
ironia e speranza
e sogni… mi trasformo
cavia dei petrolieri…
della Chiesa, produco
ricchezza istigato
da progetti sociali
folli e folli folli…
alla mia distruzione
si contrappone gioia
di “Santi Padri Capi”

Per controllo società,
i loro figli, loro
ricchezza e potere
generazionale.
Loro… loro e loro
esistenza divina.

*

TERRA MIA
Italia Toscana
e Occidente sono
venuto per miseria.
Soldi lavoro soldi
in terra mia nativa
là… ho moglie figli…
Di questo paese suolo
non m’importa niente.
Anzi appena ho i soldi
necessari ammucchiati
andrò via… via con gioia,
grande… alla faccia
di questo popolo…
e del vostro Stato.
Il castigo maggiore
io padre di famiglia
è essere allontanato
da affetti amori.
Da sapori odori
terra… mia terra mia…

Ho abitudini… gusti
religione pensieri
tinta… pelle diversa
e privo di libertà…
quindi schiavizzato.
Orrore d’Occidente…
Famiglia allo sfascio
diritti errati, schifo
politico mafioso…
È il perbenismo vostro
business di comodo
trafficanti d’umani.
Penso al mio paese,
ogni volta rimpiango
la mia gente misero
forse ergastolano…
L’orizzonte consola
solitudine oltre
oltre speranza oltre là…
un giorno quel mare
buio lo attraverserò…
Se costretto all’inferno…
questo, non cambierò
le mie usanze origini
abitudini e tutte…
In culo integrazione.

Passo la notte quando
ad occhi chiusi ascolto
il silenzio sogno…
Mare costa… una nave
aspetta il mio destino
di uomo, di religione,
di Dio e mia famiglia…
Occidente Occidente
se vuoi veramente
di giusto qualcosa
per me, lasciami andare.
Libera le mie terre
affinché possa in vita
vivere là… terra mia
con il mio sole mare
cielo luna terra mia…

*

FANTASMI
Le finestre mostrano
di solito in città
altre finestre dove
puoi percepire
il residente accanto
vicino e di fronte
se sei fortunato…
Invece abitando
a terreno puoi
imbatterti in nauseanti
odoracci di piedi
per presenza di area
adibita a Moschea
con Pellegrini scalzi
preganti dopo una
giornata di lavoro.
Dei palazzi pareti
serrano ogni altra
veduta probabile
forse magari dietro
c’era un parco con verde
una bella fontana
o appena un albero
o appena un cielo…

Tu noi sei siamo
obbligato obbligati
a vedere solo in
una – quel ritaglio
perché qualche
demente comunale
deciderà in Regione
anche per te noi voi…
Questo se abiti in città…
fuori, o campagna
o periferia mono–
bi – familiari ammesso
che non si intrometta
qualche fantomatico
testa sapientone
a depredare vista
e panoramica, le
finestre diventano
soltanto elemento
essenziale per area
e luce alla stanza.
Non permette il contesto
d’immaginare, sia pur
attraente è statico…
un albero collina
uno spazio di verde,
non ci fai più caso
ti abitui per sognare
devi prendere l’auto

e andare in giro
o alla tv o al computer.
In città le finestre
oltre al rapporto aero
illuminante danno
altro significato:
ad immaginare occhi
che guardano fiumi
auto dalle strade vie…
volo di tetti uccelli
in cerca di niente
frastuoni mutano
come persone e anni
o televisione alta
del vicino o più d’ogni
realtà occasione
d’immaginare eventi
che forse accadranno.
Mattine con vedute
diverse pomeriggio
e sera dalla notte.
Le finestre in città
dal 3° piano servono
anche al suicidio,
semmai ci fosse questa
estrema esigenza…
Quante finestre ad «ora»
case squillo spiate
hanno esistenza in città
tutti in comproprietà
sanno tutto di tutti,
pareri abiti nomi
politici e sessuali
truffe sentimentali…
ma, quando all’interno
qualcosa di fatale
accade non riesce
nessuno a dar dettagli
precisi all’evento…
Eletti psicologi
sociologi, sembrano
loro in confusione
mentale, e malati…
i soggetti in cura
continuano a colpire…

Germogliano amori
avventure amicizie
maschio e maschio
femmina e femmina
maschio e femmina
Tutte brave persone,
l’epilogo tragico
avveniva e sempre
tra maschio femmina
con morte della stessa.

Forse vedono solo
oltre quella finestra…
solo ciò che accade
ad altri tirare fuori
comodità per Chiesa
ma dentro la stanza o
le stanze all’interno
delle finestre c’era
vuoto perbenismo
criminal familiare.

Testi tratti da Diligenza del non padre di famiglia (art. 1176 c.c.), prefazione di Angelo Maugeri; Italic 2018

*

NOTA DI LETTURA DI ALBA GNAZI

*Pàdre: dal lat. (e umbr.) Pàter [acc. PATREM] – gr. Patèr [got. Fadar; a.a.ted. Fatar. mod. Vater; ingl. Father; lit. e slav. Bati; celt. Athair per Pathair]; sscr. Pitâ (acc. Pitaram), dalla rad. sscr. , che tiene il concetto di proteggere (sscr. pâti) ed anche quello di nutrire, ond’anche il sscr. gô-pas pastore di vacche (ted. Kuk vacca), il gr. Patèomai mi nutro, à-pastos digiuno (a- privativo), la quale radice sembra identica almeno affine a quella del sscr. Patis signore, pâ-yú custode: dunque a lettera quei che protegge, ovvero che nutre, che mantiene, che sostiene la famiglia (cfr. Potere, Valere, nonché Foraggio, Paglia (?), Pascere).
Il Genitore, il Capo della famiglia.
Presso i Latini fu anche titolo dei vecchi e dei Senatori, degli eroi e tra gli dei particolarmente di Giove, che perciò si disse Jup–piterumbr. Iu-pater che sta per Iovis-pater; e anche oggi si dà per rispetto ai sacerdoti e ai monaci.

*Fonte: https://www.etimo.it/?term=padre

*

La raccolta di Riccardo Mazzamuto prende l’abbrivio dall’istituto della paternità, nome che origina (vedi sopra) da un atavico senso di protezione e conservazione della specie la cui essenza ed etimologia deriviamo da antichi popoli eurasiatici attraverso millenni di vita nomade e stanziale.

La paternità viene qui analizzata partendo dal supposto giuridico che affida al padre una gestione ‘’diligente’’ dell’istituto famigliare, quindi estesa ed esposta a più vaste interpretazioni che si innestano nella società e nell’antropologia dei tempi odierni il cui percorso, direi quasi inevitabilmente, conduce il poeta a considerazioni e movimenti che ne svelano i caratteri più occulti e intimi, più scomodi e imbarazzanti; a capovolgerne, destrutturandola, l’accezione semantica consueta.

Dà l’avvio alle composizioni la situazione in cui il protagonista Pier Vittorio, soggetto e oggetto dell’intera raccolta, è chiamato ad affrontare il primo dei conflitti – ma anche: il primo limite, la prima conditio sine qua non – che alimentano il vivere della società (e non dell’individuo: vedremo meglio perché): per ottenere il lavoro di archivista – l’ambivalenza e l’ironia di questa scelta, qui come altrove, viene messa in luce dai soliloqui e dalle riflessioni che continuamente P.V. rilascia, volte al mantenimento della propria libertà di spirito, di scelta e di azione, che contrasta recisamente con gli esiti del suo percorso – deve essere sposato e avere figli.

Il contraddittorio nasce già dal titolo della raccolta: la diligenza del non padre di famiglia: questa negazione in termini e intenzioni, dichiarata presa di posizione e sfida alle convenzioni e alle norme universalmente accettate, caratterizza l’intero corpus delle poesie; viene reiterata e incisa anche quando, obtorto collo, il soggetto è appunto chiamato a scelte radicali che cambieranno la sua vita: ‘’Conquisto il lavoro/promesso, assunto/con l’accordo ferreo/di diligenza del buon/padre di famiglia…/Posso stima gioire/fiducia dei superiori/collettività tutta.’’ Da Colloquio di lavoro.

Ecco quindi che viene coinvolta, in questo tracciato esperienziale ed esistenziale, una counterpart al nostro protagonista, Veronica; moglie e non compagna, in passato già ragazza per il divertimento e non amica, quindi madre dei figli: mai complice (‘’Dai ritardi muliebri/Veronica mi avvisa/in pizzeria che sarei/diventato o forse/padre o forse babbo…//Ho un’abitazione,/due camere da letto/arredata, aggiornata/con mobili ikea./Regolata l‘unione/quella diventerà/il nido di comodo’’, ibid.), mai confidente, a sua volta ostaggio di preimposti ruoli.

Un vissuto coniugale, questo tratteggiato dal Mazzamuto, denso di squallore e solitudine nell’esercizio sterile di un rapporto che potremmo definire di comodo, instaurato per raggiungere scopi non confessabili all’altro (avvincente e colma di ironia la descrizione della ricerca, susseguente al colloquio di lavoro, di una possibile compagna, effettuata contattando telefonicamente amiche e fidanzate i cui numeri erano ancora su una vecchia agenda – a mo’ di call center), che in qualche modo condensa il costante svilimento degli impulsi più sani e vitali di una normale relazione di coppia.

Nella riflessione del Mazzamuto la paternità, deprivata del suo più gioioso e naturale stato, viene declinata e corretta secondo i doveri imposti da una serie di norme civili, storiche, religiose e sociali in cui l’individuo non ha né scelta né ragione in quanto tale, ma solo in quanto parte di un ingranaggio e cartina di tornasole di una società inumana, arida e distopica.

La distorsione del valore della paternità rispecchia le molteplici dinamiche di aberrazione del tessuto civile e morale dei nostri tempi, delle province e delle metropoli, nell’intimo delle abitazioni fin nelle piazze e nelle chiese. Lo sguardo impietoso del nostro poeta si sofferma su questa grave latenza del senso paterno (inteso nell’accezione di figura che protegge e custodisce posta in incipit) in più contesti e dimensioni: ad esempio, là dove indica l’ipocrisia e il mercimonio che abitano i luoghi di culto -questi a sfavore di un più auspicabile, benché dal poeta non inteso scontato, interesse per il prossimo e per le sue vicende proprio da parte dei precettori della fede – oltre, beninteso, a una crisi senza uscita della religiosità, dell’assenza dell’adesione e della ricerca di un ente superiore salvifico e – lui sì – protettivo, scevro delle debolezze e dell’inconsistenza umane (‘’Io avevo altri ideali/Dio ha altri ideali.’’, da Dio Vostro): ma senza speranza di rinvenirne alcuno, se non in un minuscolo barlume entro di sé. E ancora sonda, quindi spalanca le imposte per guardare dentro alle case, a scoprirne – dietro alla munificenza e all’abbaglio dell’aspetto – miserie e abissi; efficace, a tal proposito, la sezione in cui affronta la trasformazione di abitazioni fatiscenti, nido di umanità torbide e violente, in moderni palazzi di vetro aventi il fine di ‘’Consegna[re] le case alla vista di chiunque. Maggiore controllo familiare… in forma di e\o grande fratello’’ – da Le pezze infangate si smacchiano in famiglia.

Con uno stile spezzato reso narrativamente in prima persona, costituito da frequenti enjambement, versificazione breve, interruzioni sintattiche, cambi di ritmo, aggettivazione ridotta, a rendere il dettato incalzante, aperto a più interpretazioni e agganci a un ampio ventaglio di sottintesi, Mazzamuto incanala in una visione a tratti ironica e spietata, a tratti mesta e pensosa, gli egoismi e le smanie di una società (in)umana immessa in una natura antropizzata e grigia, dietro, dentro e attorno a costellazioni familiari e rapporti sociali ridotti ai minimi termini.

Ne deriva una sorta di spaesamento, di non identificazione, di inappartenenza al tessuto sociale, ai legami interpersonali che ne costituiscono la trama, tanto quanto al senso del divino, al cui posto prevalgono indifferenza, latitanza di misericordia e solidarietà, manifestazioni esteriori esasperate e contenuti nulli; come azzerata è la percezione dell’altro e di sé nella rispettiva interezza: si tratta, infine, dello straniamento rivelatorio e vieppiù sempre più consapevole di un uomo che guarda la sua e altrui esistenza popolate da sogni irrealizzabili, pantomime e fantasmi; impotente, sterile e straordinariamente solo.

*

NOTIZIE BIOBIBLIOGRAFICHE

mazzamuto

Riccardo Mazzamuto è nato a Livorno nel 1966;  ha pubblicato “Abitudini d’animo” (Editrice Nuova Fortezza1988) prefazione di Laura Bandini  raccolta in versi;”La Sorte dell’ingranaggio” (Campanotto Editore Udine 1993) raccolta in versi prefazione di Carlo Marcello Conti; “ De profundis” (Gazebo Firenze1997 l’area di Broca) racconto in prosa prefazione di Mariella Bettarini. La Volpe e il Gatto (Lietocolle Editore Faloppio 2016) Segnalato Premio Camaiore 2017 e finalista Premio “Amaro Silano” 2018 (Cosenza).

E’ presente in due Antologie  in versi, edizioni ’88 e ’89 “La Torre di Calafuria” (Edizioni Il Gabbiano Livorno) prefazione di Riccardo Marchi e Antologia Premio Capannori 2017 (Marco Del Bucchia Editore).  Della sua Poesia si sono occupati anche Raffaello Bertoli Giampiero Neri Davide Rondoni Giuliano Ladolfi Valerio Nardoni Dante Maffia Renata Giambene Mariella Bettarini e Dario Bellezza, suoi testi sono stati pubblicati sia su riviste cartacee che online.

 

Su Un Posto di vacanza è stata tempo fa proposta una selezione poetica di Riccardo Mazzamuto leggibile a questo link.

 

Articolo a cura di Alba Gnazi

Riccardo Mazzamuto, Tre poesie da ”Diligenza del non padre di famiglia” con una nota di lettura di Alba Gnazi

Lost in…: Gabriela Feceoru, poesie inedite tradotte da Daniela Mărculeţ

feceoru 1

 

tutta l’esperienza umana

ho sofferto come un dio che
non ha nulla da rimproverare a nessuno
come un dio ho espresso
segretamente un desiderio che

ho intenzione di soddisfare
ma ho il potere di esaudire
qualsiasi desiderio pregando a me e
salvando me stesso e
battezzo le mie mani con quali i peccati

si  fanno le mie mani con quali i peccati si
scrivono mi salvo dalla morte
sintetizzo la mia creazione come
i carrettieri dell’agricoltura perché loro
sanno bene cosa succede con la loro produzione

dipingo i miei capelli  in che colore
voglio il mio corpo lo guarisco
e lo faccio apparire stramitico mi
affeziono a chi desidero prendo
frustate in posti che mai
mostrerò a quelli che mi guardando in su
che a loro volta espongono i loro desideri
il mio desiderio è uno e lo dirò
nelle centinaia di pagine più
recenti dirò il mio desiderio  ripeterò

non perché qualcuno possa trovarlo
ma solo per me per aggiornarlo
ascoltandolo per me il desiderio
è più sacro della preghiera da lontano
santo perché è una chiamata ad approccio non è

un’esortazione a vanitose cose
nei pressi di fuorilegge sono vicino e
mi avvicino più forte forse sentirò che
è il momento ho il potere della decisione, io decido
quando è adempiuto ciò che è scritto e credo

che ciò che è scritto e la virgola tutto sarà fatto
sarà fatto con pause necessarie sta promesso
credo ed è fatto credo ed è fatto non pubblico più
niente non pubblico più nulla non pubblico più nulla
l’esposizione è una prova di vulnerabilità e
non sono più interessato a queste cose
rendo visibili le mie parole avvicino
le persone o sto portando via la gente niente
di quello che può esserci tra loro non mi interessa
hanno libero sfogo  ho libertà di azione  agiamo

separatamente non mi occupo dei loro affari
decido la mia nazionalità e il mio genere
mi definisco e cambio secondo me stesso
indosso il mio corpo e lo spoglio
soffro di un ordine assoluto

faccio un disordine assoluto lo stesso
ritengo opportuno a me sta anche
la forza di dichiarare anni morti per la pubblicazione

di qualsiasi tipo

feceoru4

*

 

i miei amici hanno detto che stavi tornando

setaccio umano intrufolando luce
calda
è vero che stai tornando in paese
dicono che ti stai trasferendo con il lavoro
il luccichio sulle unghie rimarrà
intatto fino alla festa

lo giuro il cuore è
soave e per esemplificare
ti sto mandando  link sinonimo / anonimo
oliato aggraziato bitorzoluto

stilla diavoletta
impedita nelle vertebre
del corpo orientale rinfrescandosi
l’anima che giace su un lato

lei, l’anima, non riceverà nulla
da ciò che altri danno fino alla brezza
adatta ai tuoi passi liguri
ossessionando la terra fermando
l’evo in cui ci lasceremo
assorbiti dalla paura del sonno
quasi sperduti come sono
i corvi vaganti fissati con

spilli vigorosi dai due
fili paralleli dalla mia finestra
che vedo ad ogni risveglio
su uno sfondo di cielo sempre mancante
di nubi atrofizzando la mia
sensazione di riconciliazione con
la mia nuova situazione e il mio desiderio
malato

assurda a volare di là
dove l’odio è sempre  più
grande per prendere la pistola raddrizzandola
verso di me dopo averti

detto la verità  che sì, guarda,
è così, ti terrei per mano
per poi sparare e constatare che
non ho munizioni nemmeno per morire

metto in ridicolo il neon tremolante
ci osserviamo come in una sequenza mediocre uomini/bestie ho l’intera collezione di problemi senza soluzioni esponevo per convalidare l’elenco dei piani e quando ho pulito il tavolo si scossero le confidenze sorrido piangente

feceoru2

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

il cielo è blu e
gli angeli ci sono dentro

non ho scelto il momento giusto

come allora nella nostra cucina
ma ho un po’ di coraggio
vengo con te sicuramente
se te ne vai di nuovo
vengo con te sicuramente

resta qui accanto a me
in li-li-lin-gua-gua rumena

*

feceoru 3

Ho scritto un monologo lirico sulla vita e sul potere, sulla delusione, sull’empatia e sulle aspettative basate sul pattern familiare. Nell’ abbondante contenuto, dibatto la questione del ghosting. Molto vibe e tanta energia. Le ripetizioni danno l’inganno dell’inventario a certe situazioni che mi hanno desertificato il sè. Parlo di nuovo positivo e di nuovo positivo significa il tuo diritto e il mio e il suo, il nostro diritto di allontanarci dal tossico e riguadagnare la nostra autonomia corporea. Più un capriccio, questa volta di più per me che per il mondo, più come naturalmente vado oltre le apparenze. Riuscire a ricreare liricamente la mappa delle strade di Budapest,  strade che ho attraversato, essere in grado di mettere tutto insieme per creare una storia molto intima è stata una sfida che ha rilasciato una fusione internazionale. Posso essere accusata di ingenuità e pateticismo, sincerità eccessiva e illimitato biographismo, ma non posso essere accusata di mancanza di tatto, ritmo e sensibilità. Ho anche pagato questa volta il tributo con la forza della lingua del paese da cui provengo. Auguro a tutte le donne abbandonate di avvalersi basato sulle loro esperienze e a ogni uomo lasciato di esprimere i suoi sentimenti senza la paura che i suoi sentimenti lo avrebbero delimitato dalla mascolinità.

(Nota dell’Autrice – traduzione di Daniela Mărculeţ)

*

Notizie biobibliografiche

Gabriela Feceoru (1993, Petrosani) si  è laureata presso la Facoltà di Scienze e Lettere dell’Università “Petru Maior” di Târgu-Mureş è ha ottenuto un master della stessa facoltà. Esordio editoriale con il volume Blister ( Cartea Româneasca, 2017). Collabora con riviste letterarie e piattaforme letterarie: “Letteratura Romania”, “Euforion”, “Discobolul”, “Stampa culturale”, “LitArt”, “Banquet” ecc.  Presente nell’antologia poetica “L’offensiva dei debuttanti”, pubblicata sulla rivista “Familia” n. 6/2016 e nell’antologia “#Rezist! Poesia “, coordinata da Cosmin Perta, lavora alla rivista” Vatra “come segretaria letteraria.

*

I testi sopra proposti sono tratti dal volume inedito di Gabriela Feceoru ”Parlo di nuovo positivo e di nuovo positivo”.

La traduzione dei testi è stata eseguita da Daniela Mărculeţ.
Altre sue proposte sono su Un Posto di vacanza: rispettivamente qui e qui.

Le immagini che accompagnano i testi sono di proprietà dell’Autrice.

 

Articolo a cura di Alba Gnazi

Lost in…: Gabriela Feceoru, poesie inedite tradotte da Daniela Mărculeţ

Eu-nuca di Patrizia Sardisco: selezione di poesie e post-it all’Autrice

eunuca.jpg

 

di nuca esausta
guardiana della culla
il suo crepuscolo

l’attrazione del neutro
un nucleo potenziale
servile a un suo orbitale malinconico

#0
pingue di sangue
esausto
a ostentare
obnubilata da obsolete tiare
la supponenza della tua postura
la nuca nuda
e sciatta

fai paura

*

#3

parole sante asettiche
_ma una parola buona
non si nega a nessuno

un monito infecondo
un obolo, un elogio
un fiore giù da un molo
fuori dall’area cieca

_mentre si volta accorta
a non bagnarsi i piedi
non sporcarsi le mani

*

#6

di nuca
prona ai muri
puoi lavarti le mani. Intanto

reti a strascico
rigettano ai pesci
anche il tuo stesso lunghissimo viaggio

*

#10

e il riallineamento
dall’entropia all’ordine
avviene per spontaneo spiaggiamento
poi la raccolta indifferenziata
dentro strutture plastiche
oscuranti
dotate di cerniera
di una forzata chiusura lampo
della storia

*

#11

 

scotoma, modalità on
sui quadranti sud orientali
_campo visivo stretto
a ciò che serve al calcolo

estetica economica
calcare i neri ai margini
rinforzare le linee
di confine
esaltare le campiture interne

*

#22

risoluzione nitida
ridotta al lumicino
mima una tarda notte
il polso della Vecchia
ombre
cinesi
islamiche, africane

sui muri implementati
le linee di frattura
vengono segnalate
a un ricompattatore
a colla fobica
per la manutenzione

*

#24

occorrerà convincere di essere
della giustezza della propria parte
della buona regia
_che qui è lontano dal corpo dell’inferno
che non avrà le braccia mai l’inferno
o gambe o mani
o dita lunghe e l’ombra
di nessun’onta, né accusa né rivendicazione_
occorre stari calmi e usare
calme e diplomatiche parole
lasciar sbollire il mare
prendere tempo
tenere stretto il largo
resistere e diffondere la voce
che quello nella culla
è il cuore giusto del tempo antropizzato
il resto è contingenza necessaria
l’acido sanatorio della storia

*

Testi tratti da eu-nuca, edizioni Cofine – collana ”Aperilibri”-, anno 2018;
prefazione di Anna Maria Curci.

patrizia
Patrizia Sardisco, immagine: web

Post-it all’Autrice (di Alba Gnazi)

mentre ancora, a cadenza quasi quotidiana, veniamo sommersi dall’ultimo annegamento, dall’ennesimo estremo ritrovamento; mentre ancora, di qua da un porto – linea maginot che azzera il tempo di chi aspetta – e spesso anche la vita -, e ancora, dall’incertezza di sapere chi/dove e cosa/quando, ecco che arriva il tuo eunuca, patrizia; eu-nuca, col prefisso in de-privante presentazione a dir la testa nuda di europa via dal corpo, mentre intera, eunuca, compare sterile in un ondivago oltretempo.

eunuca europa, raggrinzita tra tiare corpi pance piene e rottami, metafora potente del tempo prossimo, di quello scorso e luce spuria a tracciare i percorsi di un incertissimo quasi mozzo futuro (”e il cielo inscena un foglio quasi bianco/un profondissimo disegno cieco’‘, testo #4); trasmessa, eunuca, dal tuo dettato linguistico tutt’altro che piano, che anzi induce alla rilettura, alla meditazione: ché quando si ostende innanzi agli occhi uno spettacolo simile occorre con fermezza guardare, con pazienza guardare, con coraggio: e senza voltare gli occhi: così dinnanzi alla tua Poesia spietata, priva di riflessi e perdoni, di pacata furia latrice.

di là dal mare arriva la tua voce, un’emersione meditata e sofferta dal fondo cuore caldo di quest’europa, a dir di chi e per chi resta indietro, sperso nei flutti della generale indifferenza, quella che interrogata non sa spiegare: di chi sguazza nella politica, tirando su muri chiudendo porti ormeggiando corpi e vite tra secche e flutti, tra visti e rifiuti (‘‘non sono figli tuoi i fuori luogo/dove sono rotte le acque// (…) guardali, Vecchia, gettati al mondo/gettarsi all’altro mondo/saranno in chiaro adesso qualche ora/more di salmi oleografie e news”, testo #5; ”coscienza col colletto inamidato/ripiega carte nautiche e aspetta/l’autoazzeramento del problema”, testo #9)); di chi esulta del ripiegamento, come non fosse un’ammissione di incapacità, di arretramento e cecità (”scotoma, modalità on”, testo #11), ed esulta: come non fossero, di quest’europa sterile e glabra, cifra prima e ultima lo spostamento, la migrazione, il viaggio; come non ci fosse, nell’europa multietnica che raccoglie più lingue più storie più culture, un insieme sterminato di possibilità declinabili in vita comune, scambi, crescita: e non chiusura, non burocratizzazione feroce, non tolleranza dell’antiumano, non morte per ritardo di un lasciapassare, nell’inammissibile eppure palese negazione del diritto altrui a Essere e scegliere (”le porte/lasciate aperte/te le chiude di colpo//il primo vento dei nord/il primo vento dei no”, testo #19).

poesia non lirica, la tua, non nell’accezione di quanto attiene al personale, intimo e soggettivo, eppure lirica sui generis, ché a mio avviso questa silloge attesta, poesia per poesia, la profonda costernazione che ne anima il versificare e che viene traslata nel sentire collettivo di chi teme il cupio dissolvi implicito in certe scelte, in certe traiettorie sconsiderate; quello di chi guarda quest’europa/eunuca arida e infertile, nata vecchia (‘‘Nulla si crea, un Nulla che distrugge”, testo #8), che dell’irrimediabile, imbruttita vecchiaia ha la fatiscenza e la sordità, l’autoindulgenza più prossima a un incontinente e incontenibile egoismo (”t’ostini in distrazioni/hai frequenti momenti di amnesia//in sogno hai creduto che bastasse/mettere in fila piccole monete”, testo #8) , quello che scantona dall’altro anche a proprio detrimento.

è, questo, un canzoniere fitto di allitterazioni, rime interne, richiami anaforici, locuzioni non comuni e specialistiche, scarsa interpunzione: tratti tipici del tuo personalissimo stile, che ha fatto della sottrazione la propria cifra, e che nonostante la, e quindi, grazie alla complessità del lessico e del dettato poetico mai banale, arriva senza fraintendimenti al nucleo pulsante della questione: voce di Poeta che si leva per denunciare l’assuefazione al male, la sovraesposizione alle brutture, l’ordinarietà dell’inumano e indica nell’accoglienza, nell’aggregazione, nel dialogo vie non provvisorie per riacquistare (a europa, a chi la abita, a chi la amministra, a chi la percorre) dignità e umanità.

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Articolo a cura di Alba Gnazi

Eu-nuca di Patrizia Sardisco: selezione di poesie e post-it all’Autrice