
A mia madre.
Stamani
ho visto una donna
sbocconcellare del pane
per strada.
Era minuta e infreddolita
le scarpe piccole
le mani bianche
come semini.
Ed eccola,
divenire mia madre
– all’improvviso –
come una rosa
sbocciata prima del tempo
che stupisce
e mi innamora.
Sono rimasta a guardarla
nell’ombra di un sorriso
perché avrei voluto trattenerla
– per sempre –
su quella strada
con quel pezzo di pane,
il mio cuore,
tra le mani
in un maggio perpetuo.
***
Via Campansi*
Chissà cosa vedono negli occhi,
cosa trattengono le pupille d’acqua
che guardano in aria, oltre il soffitto
la calma trascendente delle ore a letto
eterno sgualcito, lo stesso, dove una
domenica è sempre pari a un lunedì
fai tu, tanto è permesso qui –
assopirsi un momento e non destarsi più.
Le bocche spalancate inghiottono l’aria
passeri stanchi a posare sui rami in estate –
la terra arida soffre con loro, nel
visibilio straziante di giunchi in cancrena.
In via Campansi c’è odore di sonno,
odore di morte dalle finestre chiare
all’entrata la senti, avvicinarsi la bestia ctonia
che avanza, che spinge alle porte
quella della chiesa alla tua sinistra, ultima
via d’uscita, per quelli che dormono qui.
*
Caterina faceva le calze, mi spiega
sulla sedia a rotelle, ma la domenica riposava,
mi assicura, la domenica è il giorno del Signore.
Alla finestra, riposa Maria. Mi dice che se mi sporgo
un po’ pure io, ci riesco a vederla sua madre
all’altra finestra in attesa, oltre il cortile in agonia,
a braccia conserte che ride e sospira.
Ma adesso la conta dei figli non torna
tra le mani un due che diventa uno solo.
E col cuore di mamma mi dice nel pianto,
che adesso sua madre sorride e l’aspetta.
*Via Campansi 18 è l’indirizzo di una delle più importanti case di riposo di Siena,
presso cui, la domenica pomeriggio, i volontari clown di corsia dell’Associazione
Vip Siena svolgono una tanto importante attività di servizio.
***
Il miracolo
Un amore che leva il sonno a cucchiaiate dagli occhi –
si capiva già da lì il significato, il valore del battito
il tremore delle mani.
Tutto era colmo di grazia, tu in tutto abitavi.
Nel ciottolo eroso dai secoli, nella pietra
scalfita sul muro di erba, tutto annunciava il tuo arrivo –
la buriana. Il cammino fu agile quella mattina,
in dieci minuti il tragitto percorso.
Il 131R sapeva di noi, sapeva dell’ansia
degli occhi aperti a trafiggere il buio in cerca di pace.
Sedersi fu come sentire la lama sul collo nel punto
preciso, l’ascia del boia sospesa a un millimetro dal cranio
l’insenatura della nuca con tutto il suo brivido in mezzo.
*
Quando l’autista ha messo in moto eccolo il taglio
a fendere l’osso.
Ero già con te, tu ancora non c’eri.
***

Alessandra Fichera è nata a Caltagirone nel 1994. Laureata in Studi Umanistici vive a Siena, dove studia Storia dell’Arte medievale. Ha conseguito diversi premi letterari, tra cui il Primo Premio al Concorso Nazionale “Le stanze del tempo”, promosso dalla Fondazione Claudi di Serrapetrona (MC), conferito nell’ambito del Festival d’Estate a Palazzo Claudi e che le ha permesso la pubblicazione della sua opera prima “Per vederti fiorire”, edita da CartaCanta editore nel 2017. Alcuni suoi testi sono apparsi su “Carteggi Letterari”, “Laboratori Poesia”, “Argo”.
***
Post-it all’Autrice a cura di Alba Gnazi
Una scoperta per me interessante e suggestiva, la poesia di Alessandra Fichera, di cui ho avuto modo di leggere la silloge dal titolo ‘’Per vederti fiorire’’ (edita da Carta Canta in quanto opera vincitrice del concorso nazionale ‘’Le stanze del tempo’’). L’opera è composta di una trentina di poesie suddivise in tre sezioni. Tra le citazioni, a mo’ di prologo e viatico, alcuni passi tratti da Anedda, Sicari, Ginzburg, Leibniz, a denotare la natura composita della formazione di questa giovane poetessa, il cui stile netto, scevro di ripetizioni e ridondanze, rende il verso agile e incisivo, la lettura scorrevole e gradevole, nonostante i temi che affronta siano variati e spessi e il percorso attraverso Sé accidentato e in più punti oscuro.
Eccoci, dunque, al cospetto di figure in movimentato brusio sul fondale delle azioni, dei posti, dei fatti più consueti:
Stamani
ho visto una donna
sbocconcellare del pane
per strada.
(dalla poesia dedicata a sua madre)
Nei piatti riempiti di sole
il sorriso timido del ritrovarsi
ancora bambini
(‘A fera o luni)
oppure intagliate in una creta che le consegna a indifferibile memoria (La morte della vergine, Valentina se n’è andata, Rosa aurora del Portogallo); orlate di malinconia, in supplice attesa di un tempo o di un volto, remoti quanto l’attesa stessa (Via Campansi); oppure sotto forma di un terribile, seducente, irraggiungibile amore, del cui svolgimento, evoluzioni e involuzioni, ferocia e intensità, fino all’epilogo, la Fichera tratteggia curve ascendenti e discendenti:
E questa notte che si apre
con i mille portoni sulla strada
e ognuno dischiude come un segreto
il tuo viso, a tratti, nel buio
nel tuo darti metonimico e spasmodico
(Bello come il Libano).
‘’Un amore che leva il sonno a cucchiaiate dagli occhi –
si capiva già da lì il significato, il valore del battito
il tremore delle mani.
Tutto era colmo di grazia, tu in tutto abitavi.
Nel ciottolo eroso dai secoli, nella pietra
scalfita sul muro di erba, tutto annunciava il tuo arrivo –
la buriana.’’
(Il miracolo)
Ci fu da cambiare i soldi, io i franchi
manco me li ricordo, io che ci volevo meno diversi
che la distanza era solo sulla carta, e invece eccola lì,
la distanza, aspettava di balzare fuori come una lepre
le orecchie tese pronte all’urlo
nel disfacimento
(La partenza)
Insieme, il fluire magmatico di luoghi -scenario di vicissitudini intime ed esistenziali– come Firenze, Milano, Bologna; di stazioni, vie, stanze: di corpi dentro le stanze: e sopra a tutto, e dentro e intorno a tutto, lo sguardo che assume di ogni realtà una vibrazione che intera la comprende e a suo modo la spiega, sineddoche e misura di attraversamenti che contribuiscono a mappare un reticolo di emozioni, intuizioni, significati, perdite, mancanze e mutazioni necessarie perché sintomatiche di un vastissimo sentire, specchio di un altrettanto vasto, densissimo vivere.
A prologo della raccolta si trova la poesia La luce mi taglia la faccia, che torna come epilogo con aggiunta di un verso, a segnare l’avvenuto passaggio, la catarsi, la fioritura di cui il titolo reca messaggio: la poeta ha compiuto il viaggio, il ciclo si è concluso, ed è ancora primavera, che se in Eliot è crudele perché inesorabile e illusoria, può tuttavia cingere di luci inedite anche la solitudine e offrire un posto e un tempo ‘’per vedersi fiorire’’.
Alba Gnazi