Appello per la libreria “L’Orto dei Libri” a Roma e per una battaglia culturale nonviolenta

Orto dei libri librerie migliori di Roma

 

via 198 // Appello per la libreria “L’Orto dei Libri” a Roma e per una battaglia culturale nonviolenta

 

Care amiche e amici di Roma e di tutta Italia,
vi rivolgo un sentito appello in sostegno della libreria L’Orto dei Libri, una meravigliosa perla rara curata da Giorgio Galli, libraio e scrittore.

In questi giorni in cui accade che i libri possano essere considerati spazzatura su manifesti apposti in pubblica via. In cui le aggressioni alla cultura sono ormai quotidiane e, quel che è più grave, legittimate dall’alto, dalle stesse voci che costruiscono insicurezza a tavolino. In cui alla conoscenza e al dialogo si stanno in larga parte sostituendo ignoranza indotta e sentimenti di odio. In cui assistiamo al logoramento della scuola così come dell’educazione al libero pensiero.

In questo clima che si annerisce sempre di più, in cui il populismo getta le basi per un “regime di fatalismo” e di credenza, offrendo a bella posta panem et circenses in cambio di tornaconto, clic sui social e, soprattutto, deleghe incondizionate, sul filo delle quali si gioca la partita capillare del potere effettivo.

Ebbene, da anni non si rendeva così necessario ribadire con estrema chiarezza il ruolo della cultura nella nostra società. E i libri ne restano un respiro imprescindibile.

Le parole di carta, in un’epoca che vede anche processi di svalutazione della parola e della scrittura, di decostruzione del linguaggio, di censure indirette, restano uno degli elementi più fragili e potenti da salvaguardare attivamente, riversare, trasmettere.

I libri mi sembra restino una delle basi migliori su cui appoggiare un presente lesionato e ricominciare a edificare il progresso. A partire dai fondamenti culturali della nostra società aperta.

La “battaglia” nonviolenta per la nostra cultura va combattuta con coraggio e determinazione. Opponendo all’assolutismo il dialogo. Ma senza compromessi su ciò che è giusto e sbagliato, in direzione ostinata e contraria rispetto a chi fomenti un clima di relativismo fatalista.

E se da qualche parte bisogna iniziare, se da qualche parte questa “battaglia” sul presente e il futuro va combattuta, allora è a fianco di chi resiste attivamente e strenuamente, a dispetto di ogni difficoltà, giorno dopo giorno, in un Paese in cui il valore dei libri e della conoscenza viene svalutato programmaticamente, come ad esempio insegnanti, librai, operatori culturali.

Per chi supera a fatica ogni ostacolo nel mantenere vivo un giardino per la cultura, come una libreria, concepito e soprattutto agito come uno spazio di apertura, come un luogo. Che direi preziosissimo, quanto mai necessario.

Per chi sorride tutti i giorni, adoperandosi con il sudore della fronte per il proprio progetto culturale attivo, vero, concreto, come una piccolissima ma meravigliosa libreria, una delle più belle e appassionate librerie che, personalmente, conosca.

Per questo rinnovo tutto il mio appoggio e L’Orto dei Libri, che vi invito a visitare e sostenere, a Roma, in quanto perla rara.

La selezione è curata con rara amorevolezza e pertinenza. Lo scaffale di poesia, tra gli altri, indimenticabile.

E se non siete a Roma neanche di passaggio, spero possiate seguirla sul web, condividerne il progetto, diffonderne il messaggio.

Per resistere a fianco di chi crede in un sogno culturale nonostante tutto. Per coltivare un angolo, comune, del giardino.

G. Asmundo

 

***

 

Dal sito della libreria:

«L’Orto dei Libri è una piccola libreria ma è anche un luogo di incontro e uno spazio eventi. Uno spazio piccolo, adatto all’intimità, alla calma, all’ascolto. È un posto dove non si deve avere fretta. Potete assistere a serate musicali e presentazioni di libri, prendere parte a incontri su argomenti di vostro interesse, seguire laboratori per voi, per i vostri piccoli e perfino sui vostri animali! A proposito di questi ultimi, il Miao&Bau Bar all’esterno è pensato apposta per far bere i vostri amici, quindi… servitevene e lasciate che loro si servano!

È, soprattutto, un posto in cui potete divertirvi e stare bene. Entrate e sentite profumi di carta, legno, incenso e giardino. Girate fra gli scaffali e fate un giro ideale del mondo in 19 metri quadri grazie a una scelta di libri internazionale. È un negozio di quartiere caldo e accogliente, una libreria con lo spirito delle drogherie di una volta. Potete vivere qualche minuto in un interno che sembra un esterno e che ricorda il concetto antico di Hortus come luogo di ricreazione del corpo e dello spirito».

L’Orto dei Libri

Via Diego Simonetti 70, Roma

+39 347 006 0096

email: ortolibri@gmail.com

Facebook: https://www.facebook.com/lortodeilibri

Instagram: https://www.instagram.com/ortolibri/

Sito web: https://www.lortodeilibri.it

 

Citazione

stanze d’isola

stanze d'isola.jpg

 

E chi ha lasciato il cuore a vestigio di quella dimora,
a quella brama fare ritorno.
(Ibn Hamdis)

 
I.  Prologo

Di colpo
altopiano desolato
ovunque si volga
tutto è scomparso
livellato
risucchiato
(i colli, le gole, le città bianche)
calzari tra i sassi incolti
coreuta
lontano
dagli ulivi
dai teatri

Dovevamo recitare uno spettacolo
ma abbiamo dimenticato di imparare la parte

 

II. Parodo

Quando avremo finito di dimenticarci di noi stessi
e saremo scomparsi del tutto

resteranno soltanto le pietre,
restituite alle pietre.
Resteranno le querce immortali
sullo sfondo del bianco più solenne.
Il ronzio dell’ape insistente
nella calura che schiaccia.
E sciare nere che scivolano in mare
franando, di tanto in tanto.

 

XIV.

Di questo cielo rivolto a libeccio
non riuscirai a fissare i contorni
ora compaiono stelle sfocate
ora si insabbiano stelle arrossate

lo specchio ustore ti ha tolto la vista
come accecato è il tuo incerto vagare
smemora il giorno con greve calura
benda del mare gli occhi ti oscura.

 

XVII.

Al riaffacciarsi sul Belice.

Nascondemmo il pane
sotto le stesse pietre
con cui coprimmo i piedi ai nostri morti.

Non cade una goccia
sui tuoi occhi disseccati
per troppo lucido senso.

 

XVIII.

Se apro le orecchie, sento solo
ragli d’uomo
emergono dal buio cavernoso
compreso dal mio petto
otre amaro.

Magari potessi riudire
il canto docile delle cicale.
Con queste mani mi lego
a un tronco d’ulivo.

 
XXXV. Esodo

Quando i Ciclopi lasciarono l’isola
i piedi toccarono l’acqua e avanzarono
il capo basso e il cuore muto
dando le spalle all’agonia di cenere.
E quando, con mani non abituate
ebbero slegato gli ormeggi dagli scogli
e gli strilli delle capre legate alle zattere
senza voltarsi, piansero lacrime cispose.

Giovanni Luca Asmundo

 

 

stanze d'isola - copertina.jpg

 

Stanze d’isola, Oèdipus, 2017 è l’opera vincitrice del Premio Letterario Felix, III edizione, sul tema Paesi-Radici. Abbandoni e ritorni nell’epoca 2.0, promosso dall’Associazione Felix Cultura

www.festivalibrocampania.it

 

gianluca

Giovanni Luca Asmundo, architetto, vive e lavora a Venezia. Vincitore di concorsi nazionali di poesia, narrativa e prosa lirica, è presente nelle antologie Poesia e luce: Venezia, a cura di Marco Nereo Rotelli (2015) e Trittico d’esordio, a cura di Anna Maria Curci (2017), oltre che in una serie di e-book curati dal blog “La presenza di Erato”. È tra i fondatori del progetto di poesia e fotografia “Peripli. Topografia di uno smarrimento”  ed è stato co-curatore di “Congiunzioni. Festival di poesia e video arte 2015”.
Su stanze d’isola si può leggere una ricca nota a cura di Cristina Polli qui.
Sulla poesia di Giovanni Luca Asmundo, Giorgio Galli ha scritto qui .

 

(Articolo e foto di copertina a cura di Patrizia Sardisco)

 

stanze d’isola

Il Promontorio (28) Omaggio a “Le morti felici” di Giorgio Galli, parte I

Testi di Giorgio Galli, tratti da Le morti felici (Genova, Il canneto, 2018)

Fotografie di Giovanni Asmundo (2018)

Fico in un giardino orientale, Venezia, 2018

da Morte di Kayyam

«Ora vi racconto di come è morto Ghiat al-Din. Stava seduto al suo tavolo di legno, sotto il fico della sua casa a Nishapur. Il sole era alto. Per tutta la sua giovinezza Ghiat al-Din si era alzato tardi, ma da vecchio dormiva solo poche ore. […] Si alzò, prese un compasso e provò a tracciare dei segni, ma senza troppa voglia. Si distese di nuovo sulla panca. La sua bocca ogni tanto compiva dei movimenti come se stesse sbocconcellando un fico. Chiese una brocca, per poi sollevarsi solo il necessario per bere. Si leccò il dito e parve saggiare la direzione dei venti. Tracciò ancora col dito dei segni nel cielo come se indicasse moti di stelle. Finita la coppa si addormentò e si mise a russare. Quando il sole discese, gli mettemmo addosso una coperta. Quando il sole era sparito, andammo a svegliarlo: “Maestro, fa freddo”. Ma il maestro non russava più. Ghiat al-Din adesso dormiva il sonno dei Sette Sapienti.»

***

Migrante senzatetto a Parigi, omaggio a Roth e Olmi, 2018

da Morte del Santo Bevitore

«Caro Klemperer, non posso venire a trovarLa perché da quando è fallito il mio editore ho seri problemi finanziari. Un altro editore non lo trovo – il mio nome è sparito per troppi anni – e alla mia età non posso imparare a ballare o cantare. Io sapevo solo scrivere. E dico sapevo non per autocommiserarmi, ma perché è la pura verità: dopo la guerra non ho scritto quasi nulla. È troppo doloroso per me usare ancora la lingua tedesca. Per Lei è diverso perché Lei possiede il meraviglioso esperanto dei suoni: è quella la sua prima lingua. Ma la mia prima lingua è il tedesco, io penso in tedesco, ed è come avere un cancro che cresce negli organi. Vede, Le può sembrare folle, ma io La considero un uomo coraggioso e un vincitore e considero me uno sconfitto responsabile del reato più grave che un essere umano possa compiere: l’essere vile di fronte alla vita. Perché lei è stato folgorato nel corpo, ma continua a dirigere dalla sedia a rotelle. Io invece continuo a camminare, ma è la mia anima a essere paralizzata. Degli anni di cui mi chiede – i nostri verdi anni – mi piace ricordare due amici. […] L’altro era un mio collega, Joseph Roth. […] Era il primo a dire che la guerra era necessaria, indispensabile per vincere Hitler, e credeva sinceramente che la si sarebbe vinta. Ma non voleva esserci. Esiliato, ubriaco, senza sua moglie e senza la salute, aveva la leggerezza di chi non ha più nulla. E scelse di morire, ne sono convinto, non per disperazione, ma perché riteneva che il futuro non valesse la pena di essere visto. Fece i suoi conti e vide che gli conveniva morire. E morì felice.

Suo Soma Morgenstern»

***

Leggerezza. Omaggio a Wittgenstein, 2018

da Morte di Wittgenstein

«Dite a tutti che ho avuto una vita meravigliosa». Non esiste una morte più bella di quella di Wittgenstein. Non una più struggente, più bella, col suggello di un messaggio di ringraziamento rivolto agli amici con francescana essenzialità: Tell them that I had a wonderful life. Them erano gli amici assenti, erano tutte le creature a cui Ludwig Wittgenstein voleva comunicare di essere morto felice. E la felicità, nella sua vita tormentata, consistette nel rinunciare a tutto tranne l’essenziale, nel sapere con certezza cosa era necessario nella sua vita materiale e spirituale e vivere solo di quello, rinunciando a tutto il resto. La storia è questa: poteva fare una vita da nababbo, fu maestro di scuola e si fece perfino operaio. La vita di Wittgenstein non fu felice: fu felice la sua morte, perché in quel momento sentì che non era trascorso alcun istante senza che fosse in linea con se stesso. E di questo volle far sapere a tutti.

***

**

*

(Articolo a cura di Giovanni Asmundo)

Il Promontorio (28) Omaggio a “Le morti felici” di Giorgio Galli, parte I