Riccardo Mazzamuto, Tre poesie da ”Diligenza del non padre di famiglia” con una nota di lettura di Alba Gnazi

diligenza
Copertina anteriore del libro; fonte immagine: http://www.lafeltrinelli.it

COLLOQUIO DI LAVORO
Si sondano tragitti
per trovare lavoro
quotidiani continui
annunci economici…
realizzabili senza
precisi propositi
di qualità… importante
percepire stipendio.
Esigenza vitale
poiché hai l’auto
a rate, bicicletta
e scooter smartfone
vacanze abbigliamento.
Cominci a studiare…
Arriva il primo a cento
km dal domicilio
in ordine alle date
dei concorsi o test
orale se ammesso.
Sul posto duemila
puzzolenti umani
di sudore da viaggio

da batteri da germi
attendono l’entrata.
Dei compagni di branco
banco né un conoscente
né sguardo o graffio
né sorriso, o aiuti…
Centoventiminuti
come tempo massimo
per essere archivista.
Assolti dai nostri
incerti culturali…
Domande di cultura
(Coltura) generale.
Domanda numero uno:
”Sei maschio o femmina”
Domanda numero due:
“Presidente di Stato
duemiladieci”
Domanda numero tre:
“Sei di destra o sinistra”
e così via… eccetera…
Domande di cultura
(Coltura) esplorativa.

Domanda numero uno:
“Dimmi della famiglia”
Domanda numero due:
“Perché questa carriera”
Domanda numero tre:
“Come è fatto un libro”
e così via eccetera…
Anche io finito il tempo
a casa tutti a casa
consegno il test scritto…
Ai concorsi… passati
non ho più pensato…
per tempo mi invita
una raccomandata
ad un colloquio
di lavoro in città.
Da segretaria in sede
alla data puntuale
vengo accolto
ad aspettare il Dottore…
Dopo poco distinto
con fascicolo e sguardo
arriva il Dottore
diritto negli occhi.

“Lei ha svolto il concorso
in modo perfetto,
è degno del lavoro
neanche un errore,
però un particolare
al concorso Lei scrive
«Celibe»;
anche adesso
o coniugato e figli?”
“ Dottore identica
situazione, convivo
con la madre… Dottore,
né separazioni…
convivenze né figli
matrimoni alle spalle”.
Poi disse: “Mi dispiace
diventa un problema
l’azienda chiede
la diligenza del buon
padre di famiglia.
Non ha affidabilità
per questo lavoro,
arrivederci… avrebbe
messo su famiglia…
Poi replica: “Sappia
ha un anno di tempo
primo da graduatoria
con quel requisito
il posto spetta a Lei… ”

“ Buonasera Dottore”.
“ Buonasera… Sera”.
Quel posto suscitava
interesse, azienda
guadagno e carriera
solida unica in zona…
Sconforto economico…
preso afflitto distrutto
apro il telefono
chiamo dal passato
quelle ragazze amate
con fede praticate.

«Ciao sono Pier Vittorio
come stai? tutto bene?
ti va caffè e cinema
una di queste sere?»…
«Convivo… mi dispiace
abito fuori città»…
«Ciao sono Pier Vittorio
come stai? tutto bene?
ti va caffè e cinema
una di queste sere?»…
«Ciao mi sono sposata
aspetto un figlio »…

«Ciao sono Pier Vittorio
come stai? tutto bene?
ti va caffè e cinema
una di queste sere?»…
«Ciao lavoro fuori
mi trovo benissimo
giro… giro… che sballo»…
«Ciao sono Pier Vittorio
come stai? tutto bene?
ti va caffè e cinema
una di queste sere?»…
«Ciao… quale onore…
tesoro mio stupendo
uomo maschio mio…
Quante volte ti avrei
voluto chiamare… ok…
Vediamoci stasera…
che gioia ok bacio»…
Veronica ragazza
scorta tappa serate
del mercoledì o sere
andate a buca da “Miss”…
o per sesso anale.
Usciti insieme… dopo
un attimo, finiamo
per realizzare amore
sesso non protetto
con emissione di sperma.
Una… due… tre… quattro…
cinque… sei… sette… otto…
volte… e nove volte…
Dai ritardi muliebri
Veronica mi avvisa
in pizzeria che sarei
diventato o forse
padre o forse babbo…
Ho un’abitazione,
due camere da letto
arredata, aggiornata
con mobili ikea.
Regolata l‘unione
quella diventerà
il nido di comodo.
Veronica è pronta
al parto, parto parto
accelerando l’auto…
Spinge lei… spinge lui…
il bambino guarda
la luce… spinge spinge…
Torniamo a casa in tre
spinge familiare
la vita… familiare

Conquisto il lavoro
promesso, assunto
con l’accordo ferreo
di diligenza del buon
padre di famiglia…
Posso stima gioire
fiducia dei superiori
collettività tutta.
Passano mesi anni
anni mesi anni mesi…
Il bambino prospera
il rapporto tra me
e Veronica cambia…
cresciuti e cambiati
senza discussione
né litigi né sesso
soluzione unica
la separazione…
“Buongiorno Pier Vittorio
benvenuto inferno
di separati matti”…
Nonostante fosse mia
l’abitazione sono
costretto ad andare
torno da mia madre,
fortuna, godo almeno
di spazio… fortuna.

Il legale conclude
somministrazione
pratiche di divorzio
alimenti per due…
Veronica non perde
tempo, conquistata
da nuovo compagno
separato con figli
rimane incinta…
Due più uno più uno…
famiglia allargata…
Tornarono insieme…
per legge e diritto
contro lo sdegno mio.
Non riesco ad accettarmi…
perdo tranquillità
ironia e speranza
e sogni… mi trasformo
cavia dei petrolieri…
della Chiesa, produco
ricchezza istigato
da progetti sociali
folli e folli folli…
alla mia distruzione
si contrappone gioia
di “Santi Padri Capi”

Per controllo società,
i loro figli, loro
ricchezza e potere
generazionale.
Loro… loro e loro
esistenza divina.

*

TERRA MIA
Italia Toscana
e Occidente sono
venuto per miseria.
Soldi lavoro soldi
in terra mia nativa
là… ho moglie figli…
Di questo paese suolo
non m’importa niente.
Anzi appena ho i soldi
necessari ammucchiati
andrò via… via con gioia,
grande… alla faccia
di questo popolo…
e del vostro Stato.
Il castigo maggiore
io padre di famiglia
è essere allontanato
da affetti amori.
Da sapori odori
terra… mia terra mia…

Ho abitudini… gusti
religione pensieri
tinta… pelle diversa
e privo di libertà…
quindi schiavizzato.
Orrore d’Occidente…
Famiglia allo sfascio
diritti errati, schifo
politico mafioso…
È il perbenismo vostro
business di comodo
trafficanti d’umani.
Penso al mio paese,
ogni volta rimpiango
la mia gente misero
forse ergastolano…
L’orizzonte consola
solitudine oltre
oltre speranza oltre là…
un giorno quel mare
buio lo attraverserò…
Se costretto all’inferno…
questo, non cambierò
le mie usanze origini
abitudini e tutte…
In culo integrazione.

Passo la notte quando
ad occhi chiusi ascolto
il silenzio sogno…
Mare costa… una nave
aspetta il mio destino
di uomo, di religione,
di Dio e mia famiglia…
Occidente Occidente
se vuoi veramente
di giusto qualcosa
per me, lasciami andare.
Libera le mie terre
affinché possa in vita
vivere là… terra mia
con il mio sole mare
cielo luna terra mia…

*

FANTASMI
Le finestre mostrano
di solito in città
altre finestre dove
puoi percepire
il residente accanto
vicino e di fronte
se sei fortunato…
Invece abitando
a terreno puoi
imbatterti in nauseanti
odoracci di piedi
per presenza di area
adibita a Moschea
con Pellegrini scalzi
preganti dopo una
giornata di lavoro.
Dei palazzi pareti
serrano ogni altra
veduta probabile
forse magari dietro
c’era un parco con verde
una bella fontana
o appena un albero
o appena un cielo…

Tu noi sei siamo
obbligato obbligati
a vedere solo in
una – quel ritaglio
perché qualche
demente comunale
deciderà in Regione
anche per te noi voi…
Questo se abiti in città…
fuori, o campagna
o periferia mono–
bi – familiari ammesso
che non si intrometta
qualche fantomatico
testa sapientone
a depredare vista
e panoramica, le
finestre diventano
soltanto elemento
essenziale per area
e luce alla stanza.
Non permette il contesto
d’immaginare, sia pur
attraente è statico…
un albero collina
uno spazio di verde,
non ci fai più caso
ti abitui per sognare
devi prendere l’auto

e andare in giro
o alla tv o al computer.
In città le finestre
oltre al rapporto aero
illuminante danno
altro significato:
ad immaginare occhi
che guardano fiumi
auto dalle strade vie…
volo di tetti uccelli
in cerca di niente
frastuoni mutano
come persone e anni
o televisione alta
del vicino o più d’ogni
realtà occasione
d’immaginare eventi
che forse accadranno.
Mattine con vedute
diverse pomeriggio
e sera dalla notte.
Le finestre in città
dal 3° piano servono
anche al suicidio,
semmai ci fosse questa
estrema esigenza…
Quante finestre ad «ora»
case squillo spiate
hanno esistenza in città
tutti in comproprietà
sanno tutto di tutti,
pareri abiti nomi
politici e sessuali
truffe sentimentali…
ma, quando all’interno
qualcosa di fatale
accade non riesce
nessuno a dar dettagli
precisi all’evento…
Eletti psicologi
sociologi, sembrano
loro in confusione
mentale, e malati…
i soggetti in cura
continuano a colpire…

Germogliano amori
avventure amicizie
maschio e maschio
femmina e femmina
maschio e femmina
Tutte brave persone,
l’epilogo tragico
avveniva e sempre
tra maschio femmina
con morte della stessa.

Forse vedono solo
oltre quella finestra…
solo ciò che accade
ad altri tirare fuori
comodità per Chiesa
ma dentro la stanza o
le stanze all’interno
delle finestre c’era
vuoto perbenismo
criminal familiare.

Testi tratti da Diligenza del non padre di famiglia (art. 1176 c.c.), prefazione di Angelo Maugeri; Italic 2018

*

NOTA DI LETTURA DI ALBA GNAZI

*Pàdre: dal lat. (e umbr.) Pàter [acc. PATREM] – gr. Patèr [got. Fadar; a.a.ted. Fatar. mod. Vater; ingl. Father; lit. e slav. Bati; celt. Athair per Pathair]; sscr. Pitâ (acc. Pitaram), dalla rad. sscr. , che tiene il concetto di proteggere (sscr. pâti) ed anche quello di nutrire, ond’anche il sscr. gô-pas pastore di vacche (ted. Kuk vacca), il gr. Patèomai mi nutro, à-pastos digiuno (a- privativo), la quale radice sembra identica almeno affine a quella del sscr. Patis signore, pâ-yú custode: dunque a lettera quei che protegge, ovvero che nutre, che mantiene, che sostiene la famiglia (cfr. Potere, Valere, nonché Foraggio, Paglia (?), Pascere).
Il Genitore, il Capo della famiglia.
Presso i Latini fu anche titolo dei vecchi e dei Senatori, degli eroi e tra gli dei particolarmente di Giove, che perciò si disse Jup–piterumbr. Iu-pater che sta per Iovis-pater; e anche oggi si dà per rispetto ai sacerdoti e ai monaci.

*Fonte: https://www.etimo.it/?term=padre

*

La raccolta di Riccardo Mazzamuto prende l’abbrivio dall’istituto della paternità, nome che origina (vedi sopra) da un atavico senso di protezione e conservazione della specie la cui essenza ed etimologia deriviamo da antichi popoli eurasiatici attraverso millenni di vita nomade e stanziale.

La paternità viene qui analizzata partendo dal supposto giuridico che affida al padre una gestione ‘’diligente’’ dell’istituto famigliare, quindi estesa ed esposta a più vaste interpretazioni che si innestano nella società e nell’antropologia dei tempi odierni il cui percorso, direi quasi inevitabilmente, conduce il poeta a considerazioni e movimenti che ne svelano i caratteri più occulti e intimi, più scomodi e imbarazzanti; a capovolgerne, destrutturandola, l’accezione semantica consueta.

Dà l’avvio alle composizioni la situazione in cui il protagonista Pier Vittorio, soggetto e oggetto dell’intera raccolta, è chiamato ad affrontare il primo dei conflitti – ma anche: il primo limite, la prima conditio sine qua non – che alimentano il vivere della società (e non dell’individuo: vedremo meglio perché): per ottenere il lavoro di archivista – l’ambivalenza e l’ironia di questa scelta, qui come altrove, viene messa in luce dai soliloqui e dalle riflessioni che continuamente P.V. rilascia, volte al mantenimento della propria libertà di spirito, di scelta e di azione, che contrasta recisamente con gli esiti del suo percorso – deve essere sposato e avere figli.

Il contraddittorio nasce già dal titolo della raccolta: la diligenza del non padre di famiglia: questa negazione in termini e intenzioni, dichiarata presa di posizione e sfida alle convenzioni e alle norme universalmente accettate, caratterizza l’intero corpus delle poesie; viene reiterata e incisa anche quando, obtorto collo, il soggetto è appunto chiamato a scelte radicali che cambieranno la sua vita: ‘’Conquisto il lavoro/promesso, assunto/con l’accordo ferreo/di diligenza del buon/padre di famiglia…/Posso stima gioire/fiducia dei superiori/collettività tutta.’’ Da Colloquio di lavoro.

Ecco quindi che viene coinvolta, in questo tracciato esperienziale ed esistenziale, una counterpart al nostro protagonista, Veronica; moglie e non compagna, in passato già ragazza per il divertimento e non amica, quindi madre dei figli: mai complice (‘’Dai ritardi muliebri/Veronica mi avvisa/in pizzeria che sarei/diventato o forse/padre o forse babbo…//Ho un’abitazione,/due camere da letto/arredata, aggiornata/con mobili ikea./Regolata l‘unione/quella diventerà/il nido di comodo’’, ibid.), mai confidente, a sua volta ostaggio di preimposti ruoli.

Un vissuto coniugale, questo tratteggiato dal Mazzamuto, denso di squallore e solitudine nell’esercizio sterile di un rapporto che potremmo definire di comodo, instaurato per raggiungere scopi non confessabili all’altro (avvincente e colma di ironia la descrizione della ricerca, susseguente al colloquio di lavoro, di una possibile compagna, effettuata contattando telefonicamente amiche e fidanzate i cui numeri erano ancora su una vecchia agenda – a mo’ di call center), che in qualche modo condensa il costante svilimento degli impulsi più sani e vitali di una normale relazione di coppia.

Nella riflessione del Mazzamuto la paternità, deprivata del suo più gioioso e naturale stato, viene declinata e corretta secondo i doveri imposti da una serie di norme civili, storiche, religiose e sociali in cui l’individuo non ha né scelta né ragione in quanto tale, ma solo in quanto parte di un ingranaggio e cartina di tornasole di una società inumana, arida e distopica.

La distorsione del valore della paternità rispecchia le molteplici dinamiche di aberrazione del tessuto civile e morale dei nostri tempi, delle province e delle metropoli, nell’intimo delle abitazioni fin nelle piazze e nelle chiese. Lo sguardo impietoso del nostro poeta si sofferma su questa grave latenza del senso paterno (inteso nell’accezione di figura che protegge e custodisce posta in incipit) in più contesti e dimensioni: ad esempio, là dove indica l’ipocrisia e il mercimonio che abitano i luoghi di culto -questi a sfavore di un più auspicabile, benché dal poeta non inteso scontato, interesse per il prossimo e per le sue vicende proprio da parte dei precettori della fede – oltre, beninteso, a una crisi senza uscita della religiosità, dell’assenza dell’adesione e della ricerca di un ente superiore salvifico e – lui sì – protettivo, scevro delle debolezze e dell’inconsistenza umane (‘’Io avevo altri ideali/Dio ha altri ideali.’’, da Dio Vostro): ma senza speranza di rinvenirne alcuno, se non in un minuscolo barlume entro di sé. E ancora sonda, quindi spalanca le imposte per guardare dentro alle case, a scoprirne – dietro alla munificenza e all’abbaglio dell’aspetto – miserie e abissi; efficace, a tal proposito, la sezione in cui affronta la trasformazione di abitazioni fatiscenti, nido di umanità torbide e violente, in moderni palazzi di vetro aventi il fine di ‘’Consegna[re] le case alla vista di chiunque. Maggiore controllo familiare… in forma di e\o grande fratello’’ – da Le pezze infangate si smacchiano in famiglia.

Con uno stile spezzato reso narrativamente in prima persona, costituito da frequenti enjambement, versificazione breve, interruzioni sintattiche, cambi di ritmo, aggettivazione ridotta, a rendere il dettato incalzante, aperto a più interpretazioni e agganci a un ampio ventaglio di sottintesi, Mazzamuto incanala in una visione a tratti ironica e spietata, a tratti mesta e pensosa, gli egoismi e le smanie di una società (in)umana immessa in una natura antropizzata e grigia, dietro, dentro e attorno a costellazioni familiari e rapporti sociali ridotti ai minimi termini.

Ne deriva una sorta di spaesamento, di non identificazione, di inappartenenza al tessuto sociale, ai legami interpersonali che ne costituiscono la trama, tanto quanto al senso del divino, al cui posto prevalgono indifferenza, latitanza di misericordia e solidarietà, manifestazioni esteriori esasperate e contenuti nulli; come azzerata è la percezione dell’altro e di sé nella rispettiva interezza: si tratta, infine, dello straniamento rivelatorio e vieppiù sempre più consapevole di un uomo che guarda la sua e altrui esistenza popolate da sogni irrealizzabili, pantomime e fantasmi; impotente, sterile e straordinariamente solo.

*

NOTIZIE BIOBIBLIOGRAFICHE

mazzamuto

Riccardo Mazzamuto è nato a Livorno nel 1966;  ha pubblicato “Abitudini d’animo” (Editrice Nuova Fortezza1988) prefazione di Laura Bandini  raccolta in versi;”La Sorte dell’ingranaggio” (Campanotto Editore Udine 1993) raccolta in versi prefazione di Carlo Marcello Conti; “ De profundis” (Gazebo Firenze1997 l’area di Broca) racconto in prosa prefazione di Mariella Bettarini. La Volpe e il Gatto (Lietocolle Editore Faloppio 2016) Segnalato Premio Camaiore 2017 e finalista Premio “Amaro Silano” 2018 (Cosenza).

E’ presente in due Antologie  in versi, edizioni ’88 e ’89 “La Torre di Calafuria” (Edizioni Il Gabbiano Livorno) prefazione di Riccardo Marchi e Antologia Premio Capannori 2017 (Marco Del Bucchia Editore).  Della sua Poesia si sono occupati anche Raffaello Bertoli Giampiero Neri Davide Rondoni Giuliano Ladolfi Valerio Nardoni Dante Maffia Renata Giambene Mariella Bettarini e Dario Bellezza, suoi testi sono stati pubblicati sia su riviste cartacee che online.

 

Su Un Posto di vacanza è stata tempo fa proposta una selezione poetica di Riccardo Mazzamuto leggibile a questo link.

 

Articolo a cura di Alba Gnazi

Riccardo Mazzamuto, Tre poesie da ”Diligenza del non padre di famiglia” con una nota di lettura di Alba Gnazi

Antonio Lanza: Suite Etnapolis

LANZA.jpg

Riportiamo di seguito alcuni brani tratti dal poemetto Suite Etnapolis, inserito nel XIII Quaderno italiano di Poesia contemporanea, Marcos y Marcos, 2017.

Le silenziose

in camice giallo presto
al mattino adempiono alle pulizie
ordinarie; pulire dai residui
di escrementi i cessi, sostituire
la carta igienica dove manca,
aggiungere il sapone liquido
per le mani, lavare a dovere
i pavimenti. Lasciano andandosene l’odore
delle pulizie comandate, guasti
o intermittenti alcuni dei faretti, strisce
di sporco agli specchi, grumi sparsi
di unto di anni alle piastrelle, velate
di calcare le fontane. Sono donne minute
o corpulente, e le immagini poco
istruite ma piene di forza, puledre
resistenti alle fatiche, indurite
madonne. I forti guasti del vivere
tracciati su visi ormai corazzati,
sembrano
aver fatto di se stesse una collezione
a imbuto di sbagli: da ragazze, giovanotti
e buona sorte si alternarono in ginocchio,
i gradini delle scuole sembrando
un trampolino di tre metri da cui
staccarsi fiduciose per il tuffo; e poi,
come fu che poi l’aria a tradimento
si assottigliò, come fu che al salto
mancò velocità e rotazione, che l’atteso
ingresso in acqua avvenne di pancia,
con incresciosi schizzi dappertutto.

Voci dagli altoparlanti

I
Il lavoro che sta per iniziare l’inizio
del lavoro il lavoro che sta per finire
la fine del lavoro tutto qui è predefinito
da voci registrate tutto qui è finalizzato
a che siano in sincrono tutte le attività
ed è di donna gentile la voce che annuncia
l’apertura del centro che augura piacevole
permanenza a chi lo frequenta che dispensa
calorosi buon lavoro a chi vi passa le ore
ed è d’uomo di polso l’attitudine al comando
di uomo cui per istinto si concede ubbidienza
la voce che invita a guadagnare le uscite
la voce che ringrazia per la fiducia accordata.

III
E il divieto, cifra
del padre, parla a Etnapolis con voce
maschile: vietato entrare negli ascensori
con il carrello, vietato fumare,
vietato parcheggiare in un posto
riservato ai disabili.
Ma al di qua di questi
deboli steccati, a messe di auguri
di piacevole permanenza, di buoni
acquisti, di felice anno nuovo è
voce accogliente di donna perché alla donna
compete la sfera degli affetti,
i doveri di casa, le calde
mani sul viso.

Tredicesimo-quaderno-italiano_prima-di-copertina_150dpi.jpg

(Articolo a cura di Patrizia Sardisco)

(foto: fonte web)

Antonio Lanza: Suite Etnapolis

Andrea De Alberti: Dall’interno della specie

andrea de alberti

*
Resti

Imperfetto è ciò che si è trovato,
l’opera incompleta è trasformata in desiderio
e ha una propria e viva collazione,
essere utili nelle ossa ai nostri simili,
salvaguardare ciò che ci rimane per restare
in uno spazio che si fonda su se stesso
e sotto ha un qualcosa che sprofonda.

 
*
Cronometro sentimentale

Un cronometro sentimentale dovrebbe contenere
qualcuno che ti sogna per come sarai.
Eravamo in un ingorgo diventato terapeutico,
articolavamo di più, perché tutto era una strana
digressione della vita verso un punto che se
precipitava ci conteneva tutti.
Può essere che sia passato tanto, poi è emersa
la storia di noi due che ci eravamo attaccati
a un cordone ombelicale per non precipitare
prima che iniziasse il nuovo mondo.

 
*
Non soltanto qui la neve

Non soltanto qui la neve contribuisce a un uomo migliore,
dal primo fiocco che appare riveste un ruolo sociale.
Rimango quel poco iniettato in me stesso,
sfinito processo di una strana evoluzione.
La mia era glaciale è il sogno di un mondo
dove le emozioni hanno dal principio
riconosciuto la mente sotto un unico ombrello.
Dicono gli scienziati: su uno schermo primordiale
l’anima nel freezer ha un cervello emotivo
che può ancora difendere.

 
*
Con le braccia e col pensiero

Si apprende con sgomento a volte,
nozioni suggerite, o intuito di padre,
la demolizione del pensiero in una zona corticale,
cartilagini di cielo, stelle filanti,
lasciate come reperti di una lontana festa,
o di una guerra di carta,
carnevale in martedì grasso,
aria fritta sopra i nostri frammenti.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ettore alza al cielo Astianatte,
simbolo antico, affetto e compromesso,
lo eleva con le braccia e col pensiero.

 
*
Strade

Ho cominciato a pensare che può succedere a tutti,
su alcuni arresti fasulli del ritmo cardiaco
se lo sguardo che porti non appena ti svegli ha una deriva.
Lo stomaco è costretto a entrare nel mondo,
crisi d’ansia, apnee terrene delocalizzate in poche ore,
pensieri come cartelli autostradali
per una città che non conosci per niente.
Ogni indizio si nasconde, la spirale si allunga,
ti senti uno scemo e se accosti, il primo che incontri
ha il sorriso di un gorilla appena scappato
da uno zoo che non ricorda.

Dall’interno della specie, Einaudi, 2017

 

de alberti libro.jpg

(articolo a cura di Patrizia Sardisco)

 

foto: fonte web

Andrea De Alberti: Dall’interno della specie

Poesie al padre (7): Mark Strand, Elegia per mio padre

1445012596_228721_1445251408_noticia_normal
Mark Strand

Robert Strand, 1908-1968

 

  1. IL CORPO VUOTO

 

Le mani erano tue, le braccia erano tue,

ma tu non c’eri.

Gli occhi erano tuoi, ma erano chiusi e non si aprivano.

II sole lontano c’era.

La luna posata sulla spalla bianca della collina c’era.

Il vento su Bedford Basin c’era.

La luce verde esangue dell’inverno c’era.

La tua bocca c’era,

ma tu non c’eri.

Quando qualcuno parlò, non ci fu risposta.

Nubi discesero

a seppellire gli edifici sull’acqua,

e l’acqua era muta.

I gabbiani guardavano fisso.

Gli anni, le ore, che non t’avrebbero trovato

ruotavano ai polsi degli altri.

Non c’era dolore. Se n’era andato.

Non c’erano segreti. Non c’era niente da dire.

L’ombra spargeva le sue ceneri.

II corpo era tuo, ma tu non c’eri.

L’aria rabbrividiva sulla sua pelle.

Il buio si chinava nei suoi occhi.

Ma tu non c’eri.

 

  1. RISPOSTE

 

Perché viaggiavi?

Perché la casa era fredda.

Perché viaggiavi?

Perché è quel che ho sempre fatto tra il calare e il sorgere del sole.

Com’eri vestito?

Ero vestito con un abito blu, camicia bianca, cravatta gialla, calze gialle.

Com’eri vestito?

Ero vestito di niente. Una sciarpa di dolore mi teneva caldo.

Con chi dormivi?

Dormivo con una donna diversa tutte le notti.

Con chi dormivi?

Dormivo da solo. Ho sempre dormito da solo.

Perché mi mentivi?

Ho sempre pensato di dire la verità.

Perché mi mentivi?

Perché la verità mente più di ogni altra cosa e a me piace la verità.

Perché te ne vai?

Perché niente ha granché senso per me ormai.

Perché te ne vai?

Non lo so. Non l’ho mai saputo.

Quanto dovrò aspettarti?

Non aspettarmi. Sono stanco e mi voglio sdraiare.

Sei stanco e ti vuoi sdraiare?

Sì, sono stanco e mi voglio sdraiare.

 

  1. IL TUO MORIRE

 

Niente ti poteva fermare.

Non il giorno più bello. Non il silenzio. Non il cullarsi del mare.

Continuavi imperterrito nel tuo morire.

Non gli alberi

sotto cui passeggiavi, non gli alberi che ti davano ombra.

Non il medico

che ti aveva avvertito, il dottore giovane dai capelli bianchi che già ti aveva salvato.

Continuavi imperterrito nel tuo morire.

Niente ti poteva fermare. Non tuo figlio. Non tua figlia

che ti imboccava e ti aveva ritrasformato in bambino.

Non tuo figlio che pensava saresti vissuto in eterno.

Non il vento che ti strattonava il bavero.

Non l’immobilità che si offriva al tuo movimento.

Non le scarpe che si facevano sempre più pesanti.

Non gli occhi che si rifiutavano di guardare avanti.

Niente ti poteva fermare.

Te ne stavi in camera seduto a guardare la città

e continuavi imperterrito nel tuo morire.

Andavi al lavoro e permettevi al freddo di penetrarti i vestiti.

Lasciavi essudare il sangue nei calzini.

La faccia ti diventava bianca.

La voce ti si spezzava in due.

Ti appoggiavi al bastone.

Ma niente ti poteva fermare.

Non gli amici che ti davano consigli.

Non tuo figlio. Non tua figlia che ti guardava rimpicciolire.

Non la spossatezza che abitava nei tuoi sospiri.

Non i polmoni che si riempivano d’acqua.

Non le maniche che trasportavano il dolore delle tue braccia.

Niente ti poteva fermare.

Continuavi imperterrito nel tuo morire.

Quando giocavi con i bambini continuavi imperterrito nel tuo morire.

Quando ti mettevi a tavola,

quando ti svegliavi la notte, bagnato di lacrime, il corpo scosso dai singhiozzi,

continuavi imperterrito a morire.

Niente ti poteva fermare.

Non il passato.

Non il futuro con il suo bel tempo.

Non la vista dalla finestra, la vista del cimitero.

Non la città. Non la città orribile dalle case di legno.

Non la sconfitta. Non il successo.

Non facevi altro che continuare imperterrito a morire.

Portavi l’orologio all’orecchio.

Sentivi che te ne stavi andando.

Stavi a letto.

Incrociavi le braccia sul petto e sognavi il mondo senza di te,

lo spazio sotto gli alberi,

lo spazio in camera tua,

gli spazi che ora sarebbero stati vuoti di te,

e tu continuavi imperterrito a morire.

Niente ti poteva fermare.

Non il tuo respiro. Non la tua vita.

Non la vita che volevi.

Non la vita che avevi.

Niente ti poteva fermare.

 

  1. LA TUA OMBRA

 

Tu hai la tua ombra.

I luoghi in cui sei stato l’hanno restituita.

I corridoi e i prati vuoti dell’orfanotrofio l’hanno restituita.

La Newsboys Home l’ha restituita.

Le vie di New York l’hanno restituita, come anche le vie di Montreal.

Le stanze di Belém dove le lucertole inghiottivano zanzare l’hanno restituita.

Le strade buie di Manaus e le strade fradicie di Rio l’hanno restituita.

Città del Messico da cui te ne volevi andare l’ha restituita.

E Halifax dove il porto si laverebbe le mani di te l’ha restituita.

Tu hai la tua ombra.

Quando viaggiavi la scia bianca del tuo percorso affondava la tua ombra, ma quando arrivavi era lì ad aspettarti. Tu avevi la tua ombra.

Le porte in cui entravi ti rubavano l’ombra e quando uscivi te la restituivano. Tu avevi la tua ombra.

Perfino quando la scordavi, la ritrovavi; era rimasta con te.

Una volta in campagna l’ombra di un albero coprì la tua ombra e tu rimanesti in incognito.

Una volta in campagna pensasti che la tua ombra venisse proiettata da un altro. La tua ombra non disse nulla.

I tuoi vestiti portavano in sé la tua ombra; quando li toglievi, l’ombra si espandeva come l’oscurità del tuo passato.

E le tue parole che volteggiavano come foglie in un’aria che è perduta, in un posto che nessuno conosce, ti hanno restituito la tua ombra.

Gli amici ti hanno restituito la tua ombra.

I nemici ti hanno restituito la tua ombra. Hanno detto che era pesante e avrebbe ricoperto la tua tomba.

Quando moristi la tua ombra dormì alla bocca della fornace e mangiò le ceneri come pane.

Esultava tra le rovine.

Vegliava mentre gli altri dormivano.

Brillava come cristallo tra le tombe.

Componeva se stessa come aria.

Voleva essere come neve sull’acqua.

Voleva non essere niente, ma ciò non era possibile.

Venne a casa mia.

Mi si sedette in spalla.

La tua ombra è tua. Glielo dissi. Le dissi che era tua.

L’ho portata con me per troppo tempo. La restituisco.

 

  1. LUTTO

 

Ti piangono.

Quando ti alzi a mezzanotte

e la rugiada riluce sul sasso delle tue guance,

ti piangono.

Ti riconducono nella casa vuota.

Riportano dentro li tavoli e le sedie.

Ti fanno sedere e ti insegnano a respirare.

E il tuo fiato brucia,

brucia la cassa di pino e le ceneri piovono come la luce del sole.

Ti danno un libro e ti dicono di leggere.

Ascoltano e gli occhi gli si riempiono di lacrime.

Le donne ti carezzano le dita.

Pettinandoti restituiscono il biondo ai tuoi capelli.

Radono via il gelo dalla tua barba.

Ti massaggiano le cosce.

Ti vestono elegante.

Ti strofinano le mani per tenerle calde.

Ti danno da mangiare. Ti offrono dei soldi.

Si inginocchiano e ti scongiurano di non morire.

Quando ti alzi a mezzanotte, ti piangono.

Chiudono gli occhi e in un sussurro continuano a ripetere il tuo nome.

Ma non possono estrarti dalle vene la luce sepolta.

Vecchio mio, alzati e continua ad alzarti, è inutile.

Ti piangono come possono.

 

  1. L’ANNO NUOVO

 

È inverno, è l’anno nuovo.

Non ti conosce nessuno.

Lontano dalle stelle, dalla pioggia di luce,

giaci al maltempo delle pietre.

Non c’è alcun filo che ti riporti indietro.

I tuoi amici sonnecchiano al buio

del piacere e non possono ricordare.

Non ti conosce nessuno. Sei il vicino del nulla.

Non vedi la pioggia che scroscia e l’uomo che s’allontana a piedi,

il vento sporco che soffia le proprie ceneri per tutta la città.

Non vedi il sole che trascina la luna come un’eco.

Non vedi il cuore illividito andare in fiamme,

i crani degli innocenti farsi fumo.

Non vedi le cicatrici dell’abbondanza, gli occhi senza luce.

È finita. È inverno, è l’anno nuovo.

Gli umili portano la propria pelle in paradiso.

I disperati soffrono il freddo con quelli che non hanno nulla da nascondere.

È finita e non ti conosce nessuno.

C’è la luce delle stelle alla deriva sull’ acqua nera.

Ci sono pietre nel mare che nessuno ha visto.

C’è una costa e la gente aspetta.

E non ritorna niente.

Perché è finita.

Perché c’è silenzio invece di un nome.

Perché è inverno ed è l’anno nuovo.

 

 

 

 

∗∗∗

 

Elegy for my father

 

 

  1. THE EMPTY BODY

 

The hands were yours, the arms were yours,

But you were not there.

The eyes were yours, but they were closed and would not open.

The distant sun was there.

The moon poised on the hill’s white shoulder was there.

The wind on Bedford Basin was there.

The pale green light of winter was there.

Your mouth was there,

But you were not there.

When somebody spoke, there was no answer.

Clouds came down

And buried the buildings along the water,

And the water was silent.

The gulls stared.

The years, the hours, that would not find you

Turned in the wrists of others.

There was no pain. It had gone.

There were no secrets. There was nothing to say.

The shade scattered its ashes.

The body was yours, but you were not there.

The air shivered against its skin.

The dark leaned into its eyes.

But you were not there.

 

  1. ANSWERS

 

Why did you travel?

Because the house was cold.

Why did you travel?

Because it is what I have always done between sunset and sunrise.

What did you wear?

I wore a blue suit, a white shirt, yellow tie, and yellow socks.

What did you wear?

I wore nothing. A scarf of pain kept me warm.

Who did you sleep with?

I slept with a different woman each night.

Who did you sleep with?

I slept alone. I have always slept alone.

Why did you lie to me?

I always thought I told the truth.

Why did you lie to me?

Because the truth lies like nothing else and I love the truth.

Why are you going?

Because nothing means much to me anymore.

Why are you going?

I don’t know. I have never known.

How long shall I wait for you?

Do not wait for me. I am tired and I want to lie down.

Are you tired and do you want to lie down?

Yes, I am tired and I want to lie down.

 

  1. YOUR DYING

 

Nothing could stop you.

Not the best day. Not the quiet. Not the ocean rocking.

You went on with your dying.

Not the trees

Under which you walked, not the trees that shaded you.

Not the doctor

Who warned you, the white-haired young doctor who saved you once.

You went on with your dying.

Nothing could stop you. Not your son. Not your daughter

Who fed you and made you into a child again.

Not your son who thought you would live forever.

Not the wind that shook your lapels.

Not the stillness that offered itself to your motion.

Not your shoes that grew heavier.

Not your eyes that refused to look ahead.

Nothing could stop you.

You sat in your room and stared at the city

And went on with your dying.

You went to work and let the cold enter your clothes.

You let blood seep into your socks.

Your face turned white.

Your voice cracked in two.

You leaned on your cane.

But nothing could stop you.

Not your friends who gave you advice.

Not your son. Not your daughter who watched you grow small.

Not fatigue that lived in your sighs.

Not your lungs that would fill with water.

Not your sleeves that carried the pain of your arms.

Nothing could stop you.

You went on with your dying.

When you played with children you went on with your dying.

When you sat down to eat,

When you woke up at night, wet with tears, your body sobbing,

You went on with your dying.

Nothing could stop you.

Not the past.

Not the future with its good weather.

Not the view from your window, the view of the graveyard.

Not the city. Not the terrible city with its wooden buildings.

Not defeat. Not success.

You did nothing but go on with your dying.

You put your watch to your ear.

You felt yourself slipping.

You lay on the bed.

You folded your arms over your chest and you dreamed of the world without you,

Of the space under the trees,

Of the space in your room,

Of the spaces that would now be empty of you,

And you went on with your dying.

Nothing could stop you.

Not your breathing. Not your life.

Not the life you wanted.

Not the life you had.

Nothing could stop you.

 

  1. YOUR SHADOW

 

You have your shadow.

The places where you were have given it back.

The hallways and bare lawns of the orphanage have given it back.

The Newsboys’ Home has given it back.

The streets of New York have given it back and so have the streets of Montreal.

The rooms in Belém where lizards would snap at mosquitos have given it back.

The dark streets of Manaus and the damp streets of Rio have given it back.

Mexico City where you wanted to leave it has given it back.

And Halifax where the harbor would wash its hands of you has given it back.

You have your shadow.

When you traveled the white wake of your going sent your shadow below, but when you arrived it was there to greet you. You had your shadow.

The doorways you entered lifted your shadow from you and when you went out, gave it back. You had your shadow.

Even when you forgot your shadow, you found it again; it had been with you.

Once in the country the shade of a tree covered your shadow and you were not known.

Once in the country you thought your shadow had been cast by somebody else. Your shadow said nothing.

Your clothes carried your shadow inside; when you took them off, it spread like the dark of your past.

And your words that float like leaves in an air that is lost, in a place no one knows, gave you back your shadow.

Your friends gave you back your shadow.

Your enemies gave you back your shadow. They said it was heavy and would cover your grave.

When you died your shadow slept at the mouth of the furnace and ate ashes for bread.

It rejoiced among ruins.

It watched while others slept.

It shone like crystal among the tombs.

It composed itself like air.

It wanted to be like snow on water.

It wanted to be nothing, but that was not possible.

It came to my house.

It sat on my shoulders.

Your shadow is yours. I told it so. I said it was yours.

I have carried it with me too long. I give it back.

 

  1. MOURNING

 

They mourn for you.

When you rise at midnight,

And the dew glitters on the stone of your cheeks,

They mourn for you.

They lead you back into the empty house.

They carry the chairs and tables inside.

They sit you down and teach you to breathe.

And your breath burns,

It burns the pine box and the ashes fall like sunlight.

They give you a book and tell you to read.

They listen and their eyes fill with tears.

The women stroke your fingers.

They comb the yellow back into your hair.

They shave the frost from your beard.

They knead your thighs.

They dress you in fine clothes.

They rub your hands to keep them warm.

They feed you. They offer you money.

They get on their knees and beg you not to die.

When you rise at midnight they mourn for you.

They close their eyes and whisper your name over and over.

But they cannot drag the buried light from your veins.

They cannot reach your dreams.

Old man, there is no way.

Rise and keep rising, it does no good.

They mourn for you the way they can.

 

  1. THE NEW YEAR

 

It is winter and the new year.

Nobody knows you.

Away from the stars, from the rain of light,

You lie under the weather of stones.

There is no thread to lead you back.

Your friends doze in the dark

Of pleasure and cannot remember.

Nobody knows you. You are the neighbor of nothing.

You do not see the rain falling and the man walking away,

The soiled wind blowing its ashes across the city.

You do not see the sun dragging the moon like an echo.

You do not see the bruised heart go up in flames,

The skulls of the innocent turn into smoke.

You do not see the scars of plenty, the eyes without light.

It is over. It is winter and the new year.

The meek are hauling their skins into heaven.

The hopeless are suffering the cold with those who have nothing to hide.

It is over and nobody knows you.

There is starlight drifting on the black water.

There are stones in the sea no one has seen.

There is a shore and people are waiting.

And nothing comes back.

Because it is over.

Because there is silence instead of a name.

Because it is winter and the new year.

***

 

TRADUZIONE DI DAMIANO ABENI

 

*Da ‘’La storia delle nostre vite’’ (The story of our lives), 1973, in L’uomo che cammina un passo avanti al buio, Poesie 1964-2006, Mondadori editore2012

 

(Articolo a cura di Alba Gnazi)

Poesie al padre (7): Mark Strand, Elegia per mio padre