Giovanni Raboni, Poesie scelte

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Giovanni Raboni (www.giovanniraboni.it)

 

 

Alba

Ormai fa giorno. Non basta

sedere gravemente sulla sedia di paglia

vestito di canna e di sangue

ascoltando le ingiurie dei soldati, ospitando nel fianco

l’orma sintetica della lancia. Perché sia giorno bisogna

avere gli occhi lontani dalla guancia,

l’unghia sparsa dal dito,

una mano di calce sopra il cuore.

(da Gesta Romanorum, 1951-1954)

 

***

 

I manifesti

Chissà dov’ero, dove m’ero ficcato quando

le tue gambe hanno invaso la città.

Forse non guardo i manifesti.

Adesso paziente, maniaco ti do la caccia

di stazione in stazione

borbottando preghiere. Quello che non sei tu

esce dal fuoco o indietreggia se le tue

magre, livide dita si vede che una calza

tendono con increscioso pudore.

(L’intoppo, in Cadenza d’inganno, 1957-1974)

 

***

 

Le volte che è con furia

che nel tuo ventre cerco la mia gioia

è perché, amore, so che più di tanto

non avrà tempo il tempo

di scorrere equamente per noi due

e che solo in un sogno o dalla corsa

del tempo buttandomi giù prima

posso fare che un giorno tu non voglia

da un altro amore credere l’amore.

*

Il cuore che non dorme

dice al cuore che dorme: Abbi paura.

Ma io non sono il mio cuore, non ascolto

né do la sorte, so bene che mancarti,

non perderti, era l’ultima sventura.

*

Solo questo domando: esserti sempre,

per quanto tu mi sei cara, leggero.

*

Ti giri nel sonno, in un sogno, a poca luce.

(da Canzonette mortali, 1983)

 

***

 

Ombra ferita, anima che vieni

zoppicando, strisciando dal tuo fioco

asilo a cercare nei sogni il poco

che rosicchio per te all’andirivieni

 

dei risvegli e degli incubi, agli osceni

cortei delle sciarade, così poco

che qualche volta quando arrivi il fuoco

è già spento, divelte le imposte, pieni

 

di insulsi intrusi o infidi replicanti

l’immensità della cucina, il banco

di scuola, il letto, dammi tempo, non

 

svanire, il tempo di chiudere i tanti

conti vergognosi in sospeso con

loro prima di stendermi al tuo fianco.

 

***

 

Essere … essere, sì, intimi, nel cuore,

nel midollo, con chi è noi, con chi

d’altro noi siamo – forse è tutto qui

il segreto, è così che si fa onore

 

alla vita se è solo per ardore

che le duecentosei ossa non si

dissaldano innanzi tempo, se è di

estraneità alla vita che si muore,

 

con minima pena, come lasciamo

una casa senza fuoco. E forse, ossa

dimenticate, una provvida mente

ci penserà, due amanti!, e nuovamente

vivi traslocheremo nella fossa

all’apparirci, all’essere che siamo.

(da Ogni terzo pensiero, 1989-1993)

 

***

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Giovanni Raboni (www.ilrifugiodell’ircocervo.wordpress.com)

 

Così a volte succede che nel buio

si insanguini un volto, una mano

ci implori – così c’è

chi ignora e chi invece ha nel cuore

la comunione dei vivi e dei morti.

 

***

 

Mi sono distratto – oh, per poco, appena

quaranta, cinquant’anni – e mi ritrovo

di colpo, gli occhi abbarbagliati, in piena

vecchiaia, mia e del mondo. Niente è nuovo,

 

ora che le vivo, più delle cose

che ho vissuto aspettandole, aspettando

la vita, più delle, ma sì! famose

rose che ho colto come in trance, macchiandomi,

 

spesso e volentieri, di sangue … Eppure

c’ero anch’io quella volta, era il mio cuore,

erano i miei nervi, le mie giunture

a tremare di gioia e di terrore

 

per la tua venuta, sono sicuro

d’esserci già stato – o era già il futuro?

 

***

 

Svegliami, ti prego, succede ancora

d’implorare in un sogno a questa tenera

età, aiutami, fa’ che non sia vera

l’oscena materia del buio, sfiora

 

allora davvero una mano il mio

corpo assiderato e di colpo so

d’averti chiamata e che non saprò

più niente.

(da Quare tristis)

 

***

 

E per tutto il resto, per quello

che in tutto questo tempo

ho sprecato e frainteso, per l’amore

preso e non dato, avuto e non ridato

nella mia ingloriosa carriera

di marito, di padre e di fratello

ci sarà giustizia, là, un altro appello?

Niente più primavera,

mi viene da pensare, se allo sperpero

non ci fosse rimedio, se morire

fosse dolce soltanto per chi muore.

(da Barlumi di storia, 1988-91)

 

***

 

Scolpite nella pietra o impresse a fuoco

su pareti d’acciaio,

tracciate con il minio o con il sangue,

tatuate sulla pelle o nel cuore

 

lettera dopo lettera

sillaba dopo sillaba

le parole sbiadiscono, svaniscono,

perdono senso e suono

 

secolo dopo secolo

ritornano tutte a ritroso

a inesistere insieme

 

dov’erano in principio, nella mente

di chi non scrive – tutte tranne quelle

scritte sull’acqua

(da Sull’acqua)

 

***

 

Fra l’età in cui si muore

giovani eroicamente

e l’altra, quella in cui la morte è

l’infinito splendore

del poco, la gloria del niente,

spolparsi da sé della vita, piano, una mattina

dopo l’altra di sole

 

c’è questa in cui si muore,

si muore e basta, senza scandalo, da vivi…

(da Poesie disperse e d’occasione, 1949-2003)

***

Tempus tacendi

Nessuno, credo, potrebbe seriamente mettere in dubbio l’importanza – l’importanza decisiva rispetto all’intero – delle ultime pagine di un romanzo, delle ultime battute di una sinfonia, degli ultimi minuti di una partita di calcio.

 

Tempus tacendi — una fitta quasi insostenibile di felicità al pensiero che un giorno o l’altro potrei davvero leggere Dickens e Tolstoj, andare al cinema di pomeriggio, ascoltare i quartetti di Beethoven e i Lieder di Schubert senza doverne rendere conto a nessuno.

 

Pensare all’anima – non per salvarla: per goderne.

 

E’ impossibile guardare il tempo senza vedere la morte, così come è impossibile guardare il mare senza vedere l’orizzonte. Uno, per non vederla, dovrebbe passare tutta la vita di profilo come l’one eyed jack, il povero fante monocolo delle carte da gioco. E il bello è che anche la morte, come l’orizzonte, è sempre alla stessa distanza.

(…)

(Due prose)

***

Tutti i testi qui presentati sono tratti da Giovanni Raboni, Tutte le poesie (1949-2004), a cura di Rodolfo Zucco; Giulio Einaudi Editore 2014.

 

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(Articolo a cura di Alba Gnazi)

 

 

 

 

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